Videogame: quando si può parlare di dipendenza?

di Elena Valdameri

Videogame: quando si può parlare di dipendenza?

Videogame: quando si può parlare di dipendenza?


di Irene Mauro e Federica Pelizzari

Durante la 72a edizione della World Health Assembly svoltasi a Ginevra nel 2018, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha ufficialmente riconosciuto il “gaming disorder”, inserendolo come patologia all’interno del ICD-11 (International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems).
Il gaming disorder si configura come una condizione di scarso controllo sulle attività di gaming e, per essere considerato disturbo, deve avere una durata continua o episodica di 12 minimo mesi, oltre che avere un impatto importante sulla vita personale, familiare, sociale, educativa e lavorativa del ragazzo o adulto che lo vive.
I criteri comportamentali che vengono riportati come caratterizzanti per il gaming disorder sono nove e se ne può dichiarare la sofferenza se almeno cinque su nove si presentano entro un anno:
– la preoccupazione, il soggetto è nervoso se non può giocare;
– l’astinenza;
– l’assuefazione, cioè l’aumento della quantità di tempo spesa a giocare;
– la difficoltà a staccarsi dal gioco;
– la rinuncia ad altre attività;
– continuare a giocare nonostante i problemi causati dal gioco, soprattutto nella sfera socio-affettiva;
– mentire sul tempo passato davanti allo schermo;
– giocare per scappare da emozioni negative;
– la perdita delle relazioni interpersonali e di opportunità in ambito lavorativo. 

I criteri citati ci danno la possibilità di riconoscere la dipendenza da videogame e ci aiutano altresì a distinguerla da quelli che sono semplici comportamenti scorretti caratterizzati da un tempo di utilizzo del videogioco troppo prolungato e da modalità errate di attivazione e fruizione dello stesso.
E’ infatti importante ricordare che un alto livello di coinvolgimento nel gioco non è necessariamente problematico: non tutti gli utilizzi dei videogame che a noi adulti sembrano esagerati possono essere inseriti nella categoria del gaming-disorder, anche se questo non deve smettere di farci assumere il ruolo di educatori-accompagnatori nelle pratiche videoludiche dei nostri bambini e/o ragazzi. 

Il videogaming al tempo del Covid-19

In questo periodo di isolamento sociale prolungato, nel quale la tecnologia può assumere un ruolo preponderante nelle nostre case, viene da chiedersi quali siano gli impatti di questa situazione sulle pratiche in termini video-ludici.

Se ci riferiamo al tempo che i nostri figli passano davanti ai videogiochi, la situazione che in questi mesi stiamo vivendo può inevitabilmente portare al consolidamento di modelli di vita malsani, che potrebbero provocare difficoltà di riadattamento quando la crisi COVID-19 sarà passata. 

Solo in Italia, da quando è iniziato il lockdown, è stato segnalato un aumento del 70% del traffico Internet relativo a Fortnite gaming (Lepido & Rolander, 2020), con oltre 20 milioni di utenti attivi simultanei, e piattaforme di streaming live YouTube Gaming e Twitch hanno riportato un aumento del 10% del numero di spettatori (Stephen, 2020).

E’ per questo importante e necessario stabilire insieme a bambini e ragazzi regole di convivenza che si concentrino anche sull’utilizzo della tecnologia e della fruizione di  videogiochi e che possano essere rispettate da tutti i membri della famiglia.

E’ preferibile sperimentare un approccio equilibrato ed efficace, senza eliminare i videogame dalla dieta mediale familiare, ma sforzandoci di proporre delle alternative valide, così che i ragazzi possano sperimentare un’alternanza di proposte dedicate al tempo di gioco in casa.

Tra le alternative che potremmo proporre vi sono sicuramente quelli che Gee definisce “ i videogiochi ben fatti”, ovvero quei videogame che, fra le altre cose, stiano nel regime di competenza del giocatore e che riescano ad essere contemporaneamente sfidanti. 

Essi sono quei videogiochi che incoraggiano i giocatori a esplorare con attenzione prima di muoversi e che stimolano una visione particolare delle intelligenze multiple.

In un videogioco ben fatto, il giocatore:

– deve esplorare il mondo virtuale;
– sulla base della riflessione durante o dopo l’esplorazione deve formarsi un’ipotesi sul significato delle cose;
– esplora nuovamente l’ambiente alla luce di questa ipotesi e vede che risultati può raggiungere;
– utilizza questi risultati come feedback e accetta o riformula la sua ipotesi originaria. 

A questo proposito Gee, autore di “Come un videogioco” ,ci ricorda che le persone quando videogiocano apprendono sempre cose buone e quello che sperimentano quando giocano con i videogiochi ben fatti è spesso un buon apprendimento.

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