di Irene Mauro
Si è svolto il 26 novembre il seminario “Mind the gap! Luci ed ombre del distance learning” promosso dall’Università di Siena.
L’iniziativa ha permesso di riflettere sulla didattica a distanza universitaria grazie all’intervento di Pier Cesare Rivoltella dal nome “Le sfide del distance learning per innovare la didattica universitaria”:
“Si potrà tornare indietro?” , “Si riuscirà a chiedere ai nostri studenti di rinunciare alle esperienze digitali sperimentate?”: queste le domande che il direttore di Cremit si pone in apertura della sua riflessione. Per cercare di rispondere a queste domande, è necessario elencare alcuni elementi chiave che rappresentano caratteristiche plus del digitale.
Un primo elemento è l’usabilità: software e applicativi sono inseriti nella modalità di fruizione a distanza dentro una user experience sicuramente più naturale e amichevole.
Un secondo elemento è l’apertura: la modalità del distance learning apre la didattica in modo più semplice rispetto a quanto avviene nella didattica presenziale. Si intende, ad esempio, la possibilità di far partecipare più facilmente alle proprie lezioni testimonial, guest speakers, o la possibilità di entrare in contatto con colleghi anche molto lontani territorialmente.
La flessibilità del digitale rappresenta il terzo elemento: essa rende disponibili e armonici gli impegni e le nostre agende.
Un altro elemento di valore è l’analisi retrospettiva: con questo termine si fa riferimento alla possibilità, ad esempio, di poter registrare le lezioni. E’ una possibilità che sostiene l’apprendimento degli studenti che seguono live la lezione e che dà la possibilità agli studenti lavoratori di ritrovare la lezione disponibile e online.
Pensare poi a una post produzione del video permetterebbe all’Ateneo di creare o ampliare una repository mediatica nella prospettiva di un’ottimizzazione organizzativa.
Un quinto elemento è la professionalizzazione: l’uso delle tecnologie sviluppa le competenze digitali attraverso la cosiddetta didattica indiretta.
E’ ciò che avviene quando, per esempio, gli studenti si trovano a lavorare in un team che si crea e vive online: iniziare già dall’università a fare esperienza di un team de-territorializzato che lavora solo grazie alla disponibilità della tecnologia digitale rappresenta un allenamento per gli studenti rispetto a quanto faranno una volta inseriti nel mondo del lavoro.
Si parla poi di progettazione esplicita: la didattica tradizionale di solito si basa su quella che è la progettazione implicita. Quando si lavora invece in didattica a distanza, questo affidamento dei docenti sulle competenze implicite non è possibile. La progettazione, nella didattica a distanza, è fondamentale.
Ciò significa che il docente deve fare i conti con il cambiamento di formati (nel momento in cui il docente progetta esplicitamente una didattica progettata per ambienti tecnologici, fa i conti con formati didattici diversi andando oltre la didattica trasmissiva) e di servizi (ovvero la modifica in positivo delle modalità di ricevimento tesisti, ad esempio, o dello svolgimento degli esami).
Su questi elementi si basa l’idea che sarà difficile un ritorno alla didattica esistente pre-covid19.
“Non tornare indietro” significa mettere a punto una struttura organizzativa completa, poiché la soluzione per un’innovazione vera non passa dalla formazione ma dall’organizzazione.
Già la Laurillard nel libro Re-thinking University Teaching (2003) propone una riorganizzazione della struttura universitaria, possibile grazie a sei azioni strategiche:
- espandere le conoscenze, quindi creare e ampliare database di articoli e contenuti sulla didattica digitale;
- condividere le conoscenze, quindi non puntare sulla formazione ma invece produrre condivisione e scambio;
- innovare, quindi investire, ad esempio, sulla blended solution e investire in ricerca e in applicativi. Innovare permette inoltre di pensare a un’università open, aperta al territorio e alle iniziative;
- valutare, quindi investire sul monitoraggio e sull’autovalutazione finalizzata alla ricerca e non solo come adempimento burocratico;
- implementare, quindi aumentare la fornitura di digitale agli studenti e spiegare l’innovazione senza dare per scontato che sia automaticamente compresa da studenti e famiglie.
- validare, quindi individuare degli standard da adeguare alla certificazione o autocertificazione delle pratiche.
In conclusione Rivoltella cita il testo di Jacques Derrida e Pier Aldo Rovatti, L’università senza condizione (2001):
“L’università senza condizione non si situa necessariamente, né esclusivamente, nella cerchia di ciò che si chiama università […] Essa cerca il suo luogo, cerca il suo luogo ovunque l’incondizionatezza può annunciarsi.”