di Giorgia Mauri
Nel 2013, con la prima edizione di Fare didattica con gli EAS (Episodi di Apprendimento Situato), Pier Cesare Rivoltella esprime la sua Idea di Scuola attraverso le parole di James Paul Gee (2013, in Rivoltella, 2013, p. 10) definendola «una forza per produrre uguaglianza», non tanto nella misura in cui consente di preparare al lavoro, quanto nella sua possibilità di «tirar fuori da ciascuno il meglio di sé al servizio di una vita e di una società moralmente migliori». Un tema che ancora oggi, a distanza di dieci anni dalla nascita del Metodo, si riflette attraverso le parole dei relatori che ci hanno coinvolti il 26 maggio 2023 durante la decima edizione dell’EaS Day, organizzata da Cremit, Università Cattolica e Editrice Morcelliana Scholé.
In tal senso, il Metodo EAS si traduce in questi anni come un «organizzatore», spiega Rivoltella. In primo luogo, a livello professionale, poiché richiede all’insegnante di riorganizzare la propria comunicazione, che diviene sintetica e si sposta nella fase conclusiva della lezione, di riorganizzare il proprio modo di progettare, costituendo un curricolo breve e organizzato secondo punti-chiave, e, infine, di riorganizzare il suo modo di valutare nell’ottica dell’Embedded Assessment. Secondariamente, il metodo EAS si riflette in un organizzatore metodologico, un dispositivo che proietta le radici della didattica all’interno del contesto contemporaneo. Infine, il metodo EAS si concretizza in un organizzatore culturale, traducendosi in un dispositivo didattico che lascia spazio a una «didattica dell’attualità» per favorire l’apprendimento, più che dei contenuti, di una postura dello studente al sapere, la «postura del ricercatore».
All’interno di questa tripartizione del Metodo è possibile individuare un punto di incontro: la contemporaneità del quale esso è investito. Pier Giuseppe Rossi, già presidente della SIREM dal 2017 al 2020, definisce questa contemporaneità come la «cultura del post-digitale» e rimarca la forte coesione tra essa e il Metodo. Egli, infatti, declina questa relazione attraverso la traduzione dell’EAS in tre dispositivi.
L’EAS come un dispositivo procedurale si fa carico del processo di problematizzazione che caratterizza l’attività dal momento dell’anticipazione al suo debriefing. Questo carattere problematizzante appartiene fortemente alla cultura del post-digitale nella misura in cui, durante la fase operatoria, si tenta di raccogliere i frammenti del sapere provenienti da una tessuto che è contemporaneamente formale, informale e non formale. Come nell’epoca post-mediale, si rivela la necessità di aumentare il caos per poi sbrogliare i nodi. Se nella didattica tradizionale il processo di conoscenza e di esperienza risulta sempre lineare: la realtà viene smontata a priori e consegnata allo studente con un ordine, una organizzazione. Con il metodo EAS, al contrario, si porta alla luce un problema reale, concreto, permeato di quella complessità che caratterizza la contemporaneità, e, successivamente, si tenta di sbrogliare quello stesso problema, raccogliendone i frammenti, le tracce che ha lasciato all’interno di diversi spazi: dallo spazio formale, la scuola, alla spazio informale, il social media ad esempio.
In secondo luogo, l’EAS è visto come un dispositivo situato, dal momento che appartiene ad una conoscenza locale. Oggi la conoscenza, infatti, è definita locale nella misura in cui è impregnata dei vissuti degli studenti e contemporaneamente è legata al “sapere sapiente”. Quegli stessi frammenti che gli studenti analizzano per dipanare la complessità del problema che gli è stato posto, acquistano un significato proprio perché non fanno solo parte di un tessuto del sapere, ma sono legati ai vissuti, alle esperienze degli alunni. È proprio attraverso gli studenti che la conoscenza diviene locale e non assume quel carattere assoluto, univoco, uniforme, tipico della lezione tradizionale.
Infine, l’EAS assume il carattere dell’episodio rompendo le logiche tipiche del tempo e dello spazio. Abbandona il tempo scolastico per abbracciare quel fil rouge che unisce la dimensione micro caratteristica della post-medialità alla dimensione macro del curricolo. E lascia lo spazio della classe per accedere agli spazi formali, informali e non-formali del digitale.
Nella relazione con il digitale il metodo EAS vede coinvolte le tecnologie, non tanto come un elemento dal quale non può prescindere, quanto come una risorsa che che può essere utilizzata in molteplici contesti, spiega Chiara Panciroli, ordinaria presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna. La tecnologia, infatti, prima di tutto supporta la documentazione sintetica e la comunicazione pedagogica attraverso, ad esempio, l’uso di DEPIT, software che consente di ordinare e rielaborare il pensiero astratto della progettazione in una struttura logica grafica. Successivamente, essa diviene potenziatore dell’apprendimento e modalità di apprendimento. La professoressa porta alla luce queste due caratteristiche della tecnologia riassumendole nel progetto delle Sale Bianche del MOdE di Bologna e nell’uso dell’EAS in favore dell’Intelligenza Artificiale.
Per quanto riguarda il primo progetto, il MOdE, Museo Officina dell’Educazione di Bologna, ha messo a disposizione alcune Sale Bianche – spazi destinati al visitatore per creare un proprio allestimento museale virtuale – strutturate secondo la tripartizione caratteristica dell’EAS: una fase di anticipazione in cui si fa conoscenza ecosistemica dell’opera d’arte; una fase di produzione in cui personalizzare e narrare la propria esperienza di conoscenza dell’opera; una fase di riflessione su ulteriori dimensioni del sapere.
L’Intelligenza Artificiale, invece, si serve del metodo EAS come modalità per apprendere e sviluppare ipotesi. Attraverso il Metodo si tenta di costruire un framework per la scuola della contemporaneità all’epoca della IA.
Stefano Moriggi dell’Università Bicocca di Milano, a partire proprio dall’introduzione all’Intelligenza Artificiale, restituisce all’EAS l’immagine di un «algoritmo di cittadinanza», come il dispositivo che consente di esercitare cittadinanza. Facendo riferimento a Michael Tomasello, l’autore di Becoming Human (2021), racconta che «un pesce eredita non solo le pinne, ma anche l’acqua». Una metafora che raffigura l’EAS come un dispositivo in grado di portare alla luce il senso della Scuola come ambiente in cui fare esperienza di vita socio-culturale, di sfide concrete e personalizzate, di cittadinanza. L’insegnante diviene così un progettista di eredità, più che di ambienti: un’eredità alla cultura e alla cittadinanza. Sulla scorta di ciò, Moriggi prende in prestito le parole di Einstein (1933) definendo che «la cultura è quella cosa che rimane quando si è dimenticato tutto ciò che è stato imparato a scuola». Una sorta di eredità tacita che consente agli studenti di mantenere la «postura del ricercatore» per poter imparare le conoscenze nuove e dimenticate.
Infine intervengono Claudia Lupi del Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Pavia e Giovanna Piangiamore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, raccontando le esperienze svolte a partire proprio da quella necessità di fare della didattica delle geoscienze una forma di apprendimento profondo. Presentando le attività svolte nell’ambito della ricerca e della prevenzione correlata ai rischi derivanti da terremoti, le studiose hanno evidenziato i ruoli dell’EAS come facilitatore dell’apprendimento esperienziale e permanente e dispositivo di inclusione nella personalizzazione della didattica.
Tali esperienze muovono una nuova prospettiva della Scuola rappresentata dalla postura della ricerca, dalla spinta gentile a favore della cultura e, come direbbe Jacques Rancière ne Il maestro ignorante (1987, p. 33), dalla possibilità di emancipazione come «dignità dell’uomo».
Al termine della mattinata formativa sono seguiti i laboratori dedicati alla cittadinanza digitale e al curricolo; alla didattica dell’immagine e a quella multimodale; a internet, diritti e libertà nell’era della IA; alla sostenibilità e l’ambiente; all’uso consapevole della rete.
Per approfondire: