Trovare la Fede nel Web

di redazione

Trovare la Fede nel Web

Trovare la Fede nel Web


di Marco Rondonotti

Abbiamo intervistato don Alberto Ravagnani, giovane sacerdote della diocesi ambrosiana che svolge il suo ministero nella parrocchia di San Michele Arcangelo di Busto Arsizio. In questo tempo di lockdown ha raggiunto una grande popolarità grazie ad alcuni video da lui realizzati e caricati in Rete. In un paio di mesi il suo canale Youtube ha superato i 70 mila iscritti e raggiunto i due milioni e mezzo di visualizzazioni.   

  • Don Alberto, in diverse interviste hai raccontato che hai iniziato a montare video per comunicare con i giovani della tua parrocchia visto che le disposizioni prese per l’emergenza sanitaria hanno chiuso anche gli oratori. Certamente hai raggiunto una grandissima visibilità mediatica, ma come hanno reagito i giovani della tua comunità? Pensi che i video che hai realizzato siano stati utili per continuare a comunicare con loro?

In realtà non abbiamo pensato di raccogliere dei riscontri specifici da parte dei ragazzi della parrocchia, forse proprio perché all’inizio tutti pensavamo che il tempo dell’emergenza potesse essere breve e che quindi li avremmo incontrati nuovamente di persona in oratorio. Questo pensiero è stato probabilmente quello che ci ha portato all’errore di non prevedere un modo per raccogliere in maniera organica le riflessioni e i commenti dei giovani che frequentano i gruppi parrocchiali sviluppati a partire dalla visione dei video.  

Sono certo però che tutti i ragazzi sono stati raggiunti dai contenuti del canale Youtube. Molti di loro e anche tanti miei studenti seguono i miei profili. So che gli educatori dei gruppi giovanili hanno usato i video per organizzare gli incontri di catechesi dei ragazzi. Mi sembra di poter dire che il “successo” avuto con i giovani della parrocchia non è stato tanto diverso da quello ordinario; complessivamente la reazione non si è scostata tanto da quella solita, come se fosse stata una delle tante proposte pensate e realizzate con loro.

Quello che invece mi ha decisamente sorpreso è il grande riscontro che questi video hanno avuto al di fuori dai confini parrocchiali. Direi che sono rimasti molto colpiti quanti hanno un legame con la vita parrocchiale, al di là di quanto la frequentino concretamente; ma i video sono stati accolti molto positivamente anche da tante persone che non si riconoscono in un’appartenenza ecclesiale. Tanti sono rimasti colpiti dai contenuti che ho cercato di condividere, vuoi per la modalità con cui l’ho fatto o per il linguaggio utilizzato. Ma forse anche l’immagine di sacerdote che ho dato è stata spiazzante. 

Cercando di guardare oltre al successo indicato dall’elevato numero di follower, devo dire che effettivamente è difficile immaginare come il digitale possa essere vissuto come implementazione degli strumenti pastorali che normalmente vengono usati nelle nostre comunità. Io stesso ho fatto fatica a incastrare questa modalità dentro la routine pastorale. Quando l’emergenza sanitaria ha reso impossibile incontrare di persona i ragazzi mi sono chiesto come “poter essere prete” in questa nuova condizione; ho pensato che i giovani abitano i social e che avrei potuto sfruttare questo ambiente. Ho mosso i miei passi in questa direzione trovandomi però ad essere solo, anche nella strutturazione di questo progetto. Credo però che sia importante abbandonare la scia della improvvisazione e progettare i contenuti in modo che possano essere l’occasione per un percorso educativo, o che almeno lo sappiano accompagnare. 

  • In una tua recente intervista, hai raccontato che hai montato i video sfruttando la presenza in parrocchia di una macchina fotografica reflex, utilizzata per mettere online le liturgie della tua comunità. Tante parrocchie, in effetti, hanno iniziato a conoscere il digitale in questi mesi e quasi tutte per raggiungere i parrocchiani in occasione delle celebrazioni eucaristiche feriali e festive, o per altre liturgie. Dal tuo punto di osservazione, guardando a ciò che è stato condiviso in Rete, che valutazione puoi dare a riguardo?

In prima battuta mi viene da dire che quanto è successo online è lo specchio di quello che succede offline, proprio perché quello che succede online è reale tanto quanto come l’offline. In più, in questo momento storico, l’online è certamente parte della quotidianità. La trasmissione della celebrazione semplicemente ha reso più visibile quello che succede normalmente: chi è stato sempre abituato a realizzare le cose in una maniera un po’ raffazzonata, ha riportato inevitabilmente questo stesso stile anche nel valore tecnico della trasmissione digitale. Abbiamo visto parrocchie usare mezzi mediocri per registrare, avere molte difficoltà nell’upload del materiale che ha inciso sulla qualità delle dirette, e tante altre difficoltà prevedibili. Allo stesso modo, nelle comunità in cui già prima del lockdown vi erano cura della qualità delle relazioni e capacità di far emergere le risorse positive, queste si sono mantenute uguali anche durante il tempo dell’emergenza sanitaria. Nei contesti in cui la parrocchia ha dato valore alla comunità, la gente ha risposto con entusiasmo, mentre laddove la comunità era stata abituata ad essere fredda e formale, ha continuato a esserlo. Credo che in fondo la questione sia il livello qualitativo di vita comunitaria che la parrocchia vuole generare e alimentare; le realtà che hanno saputo proporre esperienze facendo attenzione al livello qualitativo hanno ottenuto una risposta adeguata. Dobbiamo pensare che la progettualità parrocchiale ha guardato al digitale per riuscire a prendersi cura della gente; se consideriamo quanto è capitato in Rete, laddove questo è stato fatto in maniera mediocre possiamo forse dire che il motivo è l’abitudine a uno stile pastorale approssimativo. 

Un’ultima cosa importante su questo punto. Questa esperienza ci ha fatto rendere conto che abbiamo tanto da fare a livello comunicativo come chiesa. Il mondo ormai si è fissato su alcuni standard di qualità molto alti e noi non sempre siamo “al passo”. Se vogliamo essere efficaci e raggiungere le persone in maniera adeguata, dobbiamo certamente fare dei passi avanti.

  • Nel digitale non è sempre facile trovare le modalità per affrontare insieme dei contenuti importanti o per argomentare i propri punti di vista in modo da conoscersi reciprocamente. Capita di imbattersi anche negli haters. È capitato anche a te?

Sì, purtroppo anche a me è capitato di avere a che fare con gli haters, e devo dire di averli incontrati sia fuori sia dentro la chiesa. Devo dire che inizialmente tutto questo mi ha innervosito parecchio. È fastidioso sopratutto il fatto che gli haters finiscono per dipingere un’immagine assolutamente negativa di te, in contrasto con quanto invece hai voluto provare a costruire. Ma quello che maggiormente mi ha colpito è la modalità di attacco, che è esclusivamente unidirezionale: non lascia la possibilità di replica, e men che meno l’opportunità di spiegarsi.

In un secondo momento, mi sono detto che quando le persone ti vengono contro, significa che il messaggio che volevi portare è arrivato, e lo ha fatto anche a chi era fuori delle tue cerchie di conoscenze. Proprio perché ti hanno notato e ti hanno ascoltato, allora ti rispondono. Dopo un po’ ti accorgi che “fa parte del gioco” anche il dover gestire la presenza di questi haters. Io normalmente leggo tutti i commenti e quando trovo delle critiche cerco di valutare il modo e le intenzioni con cui vengono fatte; a volte si può raccogliere qualcosa di buono. Certamente questo non è successo in alcuni casi specifici in cui sono stati realizzati dei video con il preciso intento di attaccarmi; qualcuno ha usato anche il suo canale Twitch per criticare non solo i contenuti che ho proposto ma anche la mia persona. Si tratta di aggressioni pensate e costruite in modo che le persone che fanno parte di quelle community mi vedano sotto una luce negativa; purtroppo devo dire che questo trattamento mi è stato riservato anche da un sacerdote.  

Al di là delle considerazioni personali, questo mi spiace anche perché viviamo già in un contesto in cui sembra che parlare male della chiesa faccia audience, anche sui social; così questo tema rischia di diventare un terreno in cui la gente facilmente si sfoga riversando la propria parte peggiore e non ne vedo le ragioni. 

Invece una cosa positiva che sta capitando è che la gente mi difende sui social; mi rendo conto che a farlo non sono solo le persone che già mi conoscono, ma anche quelle che fanno parte della community che segue i miei canali o che semplicemente passa per lasciare un commento. Questo fa piacere a livello personale ed è anche un aspetto positivo che forse va evidenziato e coltivato: oltre all’educazione personale, la presenza degli haters si può contrastare con la responsabilità di ciascuno.   

  • Recentemente ho visto che hai pensato di allargare la tua presenza anche su un altro social. Nel video di presentazione dici semplicemente “Un prete su TikTok, perché no?”. Quali sono le considerazioni che ti hanno portato a essere presente anche su uno dei social più seguito dai giovani?

Ho scaricato TikTok e per un po’ un tempo lo usavo solo per aver una finestra su questo mondo, sui contenuti e i personaggi che girano. Devo dire che senza quel punto di osservazione non avrei avuto il polso del mondo giovanile. Poi ho ricevuto delle sollecitazioni da parte di un certo numero di persone che mi ha invitato ad aprire un profilo su TikTok e alla fine mi sono deciso. Così, per prima cosa, ho cercato di cercare profili di preti e suore presenti sulla piattaforma per capire come avevano pensato la propria presenza. Mi sono reso conto che sono davvero pochi i religiosi che caricano su TikTok dei contenuti ma devo dire che non li ho trovati del tutto convincenti. Guardando al mondo latinoamericano ho registrato invece una presenza significativa e la capacità di utilizzare linguaggi appropriati sia alla piattaforma sia al messaggio veicolato. Alla fine, con un atteggiamento ancora una volta pioneristico, ho deciso di provare.

Mi rendo conto che quello di TikTok è un linguaggio diverso e che ha delle pretese diverse. Infatti se su Facebook faccio il commento alla liturgia del giorno, su YouTube provo ad affrontare degli argomenti di spessore, su Instagram curo le relazioni con le tantissime persone che oltre a seguirmi mi contattano, su Tiktok mi presento in maniera informale. Ho pensato la mia presenza su questa piattaforma per mostrare il “don che trovi in oratorio”; e in oratorio gioco a calcetto, racconto le barzellette, faccio due chiacchiere, così come gioco e ballo in tutte le circostanze in cui è importante prendere parte al momento aggregativo.

Credo fortemente che il tempo dell’informalità è il tempo dell’educazione; magari partendo solo dal fare capire che c’è una persona che vuole passare il tempo con te perché sei importante e ti vuole bene. Se TikTok è il luogo in cui i contenuti sono soltanto delle pillole, è anche occasione per un incontro che può aprire alla relazione. 

  • Pensando alla tua esperienza pastorale e da quanto è capitato in questi mesi, che posto occupano le competenze digitali nella formazione di un operatore pastorale giovanile?

In realtà l’esperienza di questi ultimi mesi mi ha segnato. Vedo che quello che è stato maggiormente apprezzato della mia presenza nei social è stato il forte desiderio di arrivare alla gente, di essere capito anche a costo di parlare il linguaggio delle altre persone, di sapere entrare nella loro quotidianità. Penso che sia importante capire cosa pensa la gente della vita, perché questo diventa necessariamente il punto di partenza per portare a tutti il Vangelo. In fondo, sappiamo che anche Gesù ha fatto così, ad esempio con la scelta di parlare in parabole; a differenza degli altri, lui propone un Dio capace di entrare in sintonia con il vissuto delle persone in maniera più autentica. Se oggi la gente frequenta così tanto i social, questo significa che anche noi non possiamo fare a meno di interessarcene; certo questa non è la sola cosa importante, ma è coerente con la tensione costante a “farsi tutto a tutti” perché ciascuno possa conoscere Gesù.

In seconda battuta, penso che sia importante essere “sul pezzo” sulla dottrina cattolica, anche più di prima. In questo tempo di grande esposizione mediatica, c’è bisogno di poter rendere conto alla gente delle nostre scelte così come della nostra fede. Non basta essere simpatici, perché quando le persone ci interpellano seriamente, dobbiamo essere capaci di dare risposte comprensibili oltre che adeguate e corrette.

Lette su questo sfondo, penso che le competenze digitali siano oggi imprescindibili per la formazione degli animatori e degli operatori pastorali. Fino ad oggi non ho avuto modo di coinvolgere gli educatori del mio oratorio in questo progetto di presenza nei social, ma di certo non può restare solo mio. Spero di riuscire presto a confrontarmi con gli educatori e coinvolgerli maggiormente in questa modalità di vivere la cura pastorale. 

  • Il Sinodo dei vescovi sui giovani recentemente svolto, ha dato ai giovani l’occasione di chiedere alla Chiesa di essere accompagnati a vivere l’evangelizzazione digitale. Tu che sei il sacerdote italiano con maggiore popolarità sui social come vedi la possibilità di dare forma a questo desiderio di missionarietà? 

Come dicevo, finora non ho pensato come coinvolgere gli educatori in maniera strutturata benché alcuni giovani mi stiano dando una mano importante, anche solo leggendo e rispondendo ai commenti dei post. Al momento non stiamo ancora lavorando insieme a livello di progettazione, ma è chiaro che non posso portare avanti da solo questa esperienza pastorale: la mia attività non può andare avanti da sola, perché si tratta di un cammino della chiesa. E questo significa che è importante saperlo fare insieme, raccogliendo molte competenze. Porto un esempio: nel mondo della musica Trap gli artisti più famosi del momento sono amici cresciuti insieme, e sono emersi restando uniti pur mantenendo delle chiare differenze. Si tratta di singoli artisti che insieme stanno influenzando il panorama culturale italiano. Per i cristiani la fraternità non dovrebbe venire meno neppure sui social, anzi sarebbe una testimonianza forte capace di stupire e interrogare tutti, fino alle persone più lontane dai nostri contesti. Insomma, abbiamo una missione anche nel digitale, quello di trovare un posto nel panorama culturale attuale, per annunciare in modo efficace il vangelo.

Ecco i link a due video di don Alberto:

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