di Enrica Bricchetto
Adesso sono a casa mia, e guardo compiaciuto i miei libri come una presenza familiare di cui continuamente mi rallegro. Ma non c’è solo questo: pur in una giornata climaticamente piuttosto triste come quella di oggi, continuo a provare un senso di liberazione. Sono infatti a casa mia e quella che contemplo è la mia libreria, ricca dei tanti volumi che ora ho l’occasione di riprendere in mano. Sotto questo profilo è una gioia e un’occasione.
G. Giorello, Ora sono a casa mia, “Diario de La lettura”, 4 giugno 2020
E’ senz’altro un’occasione – e non una gioia, dal momento che Giulio Giorello è mancato il 16 giugno, dopo essere stato ricoverato quasi due mesi e guarito dal Covid19 – partire da queste parole per introdurre l’ultimo saggio di Pier Cesare Rivoltella, Tempi della lettura. Media, pensiero, accelerazione che esce oggi per la collana Orso Blu della casa editrice Morcelliana Scholé.
Giulio Giorello è felice perché contempla la sua libreria: leggeva tantissimo e annotava, non aveva Internet, ma soltanto un cellulare per telefonare.
Era un filosofo, leggere e riflettere era il suo mestiere. Si dava il tempo per farlo. La riflessione di Pier Cesare Rivoltella si concentra su questo. Perché la gestione del tempo oggi è così complessa? Che cosa oggi l’essere umano è libero di fare, senza costrizione?
Rivoltella affronta questo tema con l’esperienza di autorevole studioso di didattica e di consumi culturali e lo argomenta sul piano prettamente filosofico, di storia del pensiero occidentale e delle neuroscienze. Ne esce una trattazione serrata che interpella tutti.
Parte da una constatazione, particolarmente vera anche a scuola: le studentesse e gli studenti hanno sempre meno tempo per leggere, capiscono sempre di meno quello che leggono e anche nella scrittura le cose non vanno tanto bene. I testi brevi, di sintesi prevalgono, data l’abitudine a scrivere messaggi sullo smartphone. Questo, come dimostrano le statistiche nazionali e internazionali, per gli adolescenti. Anche per gli adulti la situazione non è così diversa.
Su questa constatazione si innesta la domanda centrale del libro: è colpa della diffusione sociale dei media digitali, è colpa di un’esistenza che per ognuno si realizza in un rapporto strettissimo, osmotico con la rete, se non è più concesso – a parte a pochi – di vivere dentro le grandi narrazioni testuali, arrivare alla comprensione profonda di un saggio o di un romanzo?
Oggi è difficile “leggere in profondità” azione che – come scrive Maryanne Wolf – consente di comprendere quello che si legge e attribuirvi significato. Si preferisce o si è indotti a una lettura veloce, per sommi capi, che finisce per aggirare le questioni di fondo. Il problema non sembra diverso cambiando supporto: il testo digitale incentiva la lettura veloce, ma il libro respinge proprio perché la impedisce.
Anche progettare un testo è diventato difficile: perché la multimedialità ha abituato a un uso integrato di parole, suoni, immagini fisse e in movimento, inducendo alla confezione veloce di artefatti creativi e interessanti, provenienti da azioni di montaggio e smontaggio continue.
Il primo capitolo del libro prende in esame come si legge e come si scrive in digitale, è esaustivo e ricco di esempi, molto utile per chi insegna, perché rivela alcuni meccanismi, abitudini, consumi culturali che spesso gli insegnanti non sono in grado di cogliere.
Che lettura e scrittura si siano trasformate al tempo del digitale è vero, ma è soltanto un segnale. Rivoltella conosce molto bene il mondo dei media e sa che, sì, è cambiato il modo di leggere e scrivere, ma è conseguenza del momento che stiamo vivendo. Il punto non è soltanto come si legge o si scrive ma è che non c’è più tempo per farlo, perché il modo di vivere del XXI secolo non lo consente. Perché soggettivamente e collettivamente abbiamo sempre meno tempo?
La risposta sta nel contesto del sistema economico e sociale del tardo capitalismo, caratterizzato dall’economia digitale, dal protagonismo degli algoritmi e della sorveglianza. Seguendo il pensiero di Paul Virilio e di Hartmut Rosa, Rivoltella descrive un dispositivo basato sulla velocità e sull’accelerazione come condizioni di esistenza del singolo, che deve sottostare alle richieste di un mondo del lavoro competitivo e in continua trasformazione, sottraendo sempre più spazi personali alla riflessione e confondendo vita e lavoro. Il tempo non è mai sufficiente: si può essere dappertutto senza muoversi, i tempi di percorrenza si abbattono, i mestieri cambiamo velocemente, la sorveglianza aumenta. La tecnologia è coerente con l’economia del nostro tempo caratterizzata dell’istantaneità, come scrive Byung- Chul Han.
Di conseguenza, nella società della velocità e dell’accelerazione, l’attenzione non può più essere focalizzata. Ogni cosa avviene a gran velocità, influendo anche sull’economia del pensiero, perché tutto deve essere gestito rapidamente, e spesso le decisioni sono soggette a situazioni di contemporaneità. I pensieri lenti e pensieri veloci (Kahnemann) coesistono ma senz’altro vi è un prevalere dei primi sui secondi, perché sempre più spesso si è costretti a decidere in tempo reale. Per il pensiero lento, che richiede analisi, di solito manca il tempo.
Nella parte dedicata alle neuroscienze, a proposito della richiesta continua di risposte rapide, Rivoltella si sofferma sul fatto che potrebbe, con il tempo, attivarsi di più un’area del cervello piuttosto che un’altra. Quindi si andrebbe a perdere progressivamente la capacità di riflettere e pianificare a lungo termine. Il rapporto tra tempo e cervello attraversa il libro, rafforzando la riflessione.
Ci sono soluzioni all’attuale modus vivendi, faticoso e spersonalizzante, di cui non riuscire più a leggere o a scrivere è solo uno dei sintomi? Dai filosofi cui Rivoltella ha fatto ricorso in modo coerente e critico per tutto il testo, vengono alcune risposte, opposte o alternative.
Si può accelerare ancora fino a che la tecnologia non liberi l’uomo dalla legge del mercato e gli consenta di immaginare un futuro lontano dal capitalismo neoliberista, verso un mondo di intelligenza artificiale e di rapporto uomo-macchina (Williams e Srnicek Manifesto accelerazionista, 2013).
Si può decelerare, come pensa Rosa, in modo naturale, che non dipende dall’essere umano. In molti casi è la natura stessa che obbliga. In altri si decelera per motivi ideologici, di fuga dal mondo, chi taglia i ponti, per esempio. Oppure, in modo meno drastico, si può lavorare su se stessi alla ricerca di momenti di pausa, una sorta di pratica, un allenamento a trovare un ritmo diverso. Qui Rivoltella fa due esempi molto noti e interessanti: il movimento Slow Food di Carlo Petrini e il Manifesto dell’educazione lenta, che porta nelle scuola l’idea “slow”, contro l’egemonia dei programmi da finire, soprattutto, attraverso la didattica trasmissiva (per chi fosse interessato il libro di J. Francesch è anch’esso un Orso blu).
Rosa è anche sostenitore di una soluzione diversa, quella della risonanza, che si basa sulla costruzione armonica della relazione tra gli esseri umani (cfr. H. Rosa, Pedagogia della risonanza. Conversazione con Wolfang Endres, Scholé, 2020, a cura di Fabio Fiore, collana Orso blu).
Né sull’ accelerazione né sulla lentezza concorda il filosofo coreano Byung – Chul Han che pensa invece a un ritorno alla Scholé greca o all’otium romano, contrapponendo, cioè, la meditazione all’attività.
A Rivoltella l’ultima parola sull’etica del presente. Ha un’idea forte anche se interlocutoria. Trovi ognuno la propria dimensione per essere davvero libera o libero (chi recensisce deve lasciare al lettore la gioia del finale).
P.S.: per una versione distopica del tema si veda il film In time (Usa, 2011). Qui il trailer.