Si è tenuto oggi pomeriggio il seminario nazionale dedicato alle “Metodologie didattiche innovative e utilizzo delle tecnologie nella didattica” nell’ambito del progetto Depit (http://depit.eu/progetto/).
Ne diamo conto, condividendo una sintesi della relazione del prof. Rivoltella e i principali highlights.
La distanza non esclude la laboratorialità, in questa nuova “didattica della vicinanza”: si tratta di un aspetto importante, sottolinea Roberto Bondi (Servizio Marconi), mentre la dirigente Rossella Fabbri ricorda quanto sia importante riflettere sul rapporto tra tecnologia e didattica. Chiara Panciroli (Università di Bologna) ribadisce che questi temi sono importanti e sono praticati da decenni, l’emergenza forse ci fa discutere ad alta voce, ma si tratta di temi decisamente forti da molti anni.
Pier Cesare Rivoltella, partendo dalla dialettica tra macro e micro, si colloca nella seconda posizione con tre parole chiave: micro-learning, granularità e EAS.
1. Il micro-learning fa riferimento a una teoria dell’apprendimento alla cui base sta la convinzione che per favorire l’apprendimento sia necessario costruire la didattica per micro-contenuti e micro-attività. Dove nasce? Ormai è diventata tesi e prospettiva accettata, nasce nell’ambito del mobile Learning che è quella branca particolare dell’e-learning che si sviluppa nel momento in cui i dispositivi digitali mobili intervengono a supporto della possibilità di consumare contenuti e attività in mobilità. Il micro-learning è connesso: se voglio accedere ai contenuti su uno schermo piccolo (lo smartphone) e mentre sono in mobilità, ecco che non posso costruire documenti lunghi ed estesi, devo invece “spacchettare” in contenuti coincidenti con una schermata (contratti, ma focalizzati).
2. Un concetto caro all’e-learning, la granularità fa riferimento alla consistenza variabile di contenuti e delle attività che eroghiamo in una piattaforma. Il contenuto ha una consistenza variabile, che si misura in relazione a tre parametri: le dimensioni, la densità, l’attività. Il primo parametro ci dice che progettare Learning objects e Learning activities (LO e LA) per l’online significa riflettere bene sulla loro grandezza e durata temporale perché sono effettivi (ovvero non sono lordi, sono al netto di esempi, incisi, digressioni, risposte alle domande degli studenti). Si tratta di una comunicazione focalizzata che ha una resa maggiore rispetto alla comunicazione ordinaria in una didattica in presenza). Il secondo significa – nel lavoro di trasposizione didattica – considerare il carico cognitivo imposto agli studenti e le loro logiche attentive, diverse quando si lavora a distanza (più fragili che in presenza, più sensibili alla distrazione). Il carico cognitivo è maggiore, perché la comunicazione online dal punto di vista semiotico (della sua ricchezza di codici) perde qualcosa rispetto alla presenza. La terza ha a che fare con la granularità perché l’impatto del lavoro prescritto sui tempi effettivi va calcolato molto bene: un impatto che sembra maggiore.
3. EAS: si tratta di un dispositivo didattico costruito su tre verbi (anticipare, nella fase preparatoria, fare/agire/produrre nella fase operatoria per lo sviluppo di un artefatto in piccolo gruppo, e riflettere nel momento meta-cognitivo dove il gruppo classe ritorna sulle fasi del proprio lavoro sia nell’analisi e nella riflessione, individuando errori e costrutti concettuali di cui far tesoro). L’EAS consente di lavorare nella DAD in una logica di micro-learnign mettendo al centro la granularità, facendo leva su tre dimensioni: la micro-progettazione (la logica di un apprendimento intervallato, con micro-porzioni di attività coerenti con la granulaità); la sintesi, perché impone – anche in presenza – di parlare di meno e di parlare dopo, coerentemente con una DAD che non sia la riproduzione del “bla-bla-bla” che un insegnante farebbe in presenza, creando le condizioni perché l’aula virtuale diventi un laboratorio; funziona nei termini della valutazione diffusa, perché ogni micro-elemento può essere finalizzato nella prospettiva della valutazione.
L’EAS non è un apprendimento in pillole (come quello dell’e-learning pensato in modalità a rilascio sequenziale e in autonomia), nell’EAS c’è una cornice, non ci sono pillole “standing alone” e la cornice micro rimanda continuamente alla cornice macro.
Pier Giuseppe Rossi evidenzia i nodi progettuali: l’emergenza vissuta in questo momento ha evidenziato alcuni elementi già presenti, la difficoltà è stata accorgersi di quanto incide il dispositivo spazio-temporale. Se non sono chiaro o preciso nella consegna, posso aggiustare la mia comunicazione, mentre questo non avviene immediatamente a distanza (allo stesso modo): qui la consegna deve essere chiarissima e precisa e quindi la progettazione deve essere curata. Ecco, l’emergenza ha sottolineato alcune esigenze dei docenti. Emergono le tre dimensioni dell’azione didattica: cognitiva, interpersonale e interpersonale. Pensando ai modi di progettare, l’input iniziale è sempre presente (un video, una domanda, un Circle time), segue un’attività e infine un momento di riflessione e ristrutturazione del sapere: il ritmo ternario della didattica è importante e spesso già nelle pratiche dei docenti è adottato inconsapevolmente.
La logica dell’azione è importante, qui concorrono più fili: ci sono aspetti di contenuto, uno sociale, uno riflessivo, uno orientato al fare e tutti vanno nella stessa direzione. Il macro è la cornice, ma anche ciò che mi consente di vedere il senso globale, fornendo i fili dell’azione. Questo disegno ci consente di capire, in una “costruzione situata di senso”.
Depit consente di esplicitare il percorso, di renderlo chiaro, unendo progettazione, azione e documentazione. La progettazione è il canovaccio presente nell’azione, va condivisa con lo studente perché consente allo studente di comprendere il percorso, chiarendo sempre il senso dell’azione e – allo stesso tempo – rimane come documento (si tratta di un oggetto unico e complesso).
Chiara Panciroli evidenzia tre concetti, dal macro al micro: conoscenza, relazione interpersonale, mediatori. Si tratta di una conoscenza che passa da un corpus di contenuti a uno spazio di modi alternativi di concettualizzare. Non è solo legata al contenuto, ma anche ai modi. La relazione è decisiva, concorre al buon esito del processo di apprendimento (relazioni tra studenti, tra studenti e docenti), qui non è la tecnologia che in questo momento fa la differenza, ma le dimensioni che attiva (come quella relazionale). I mediatori sono sia persone – per arrivare a un patto – ma anche oggetti o reagenti che “danno impulsi”: anche gli studenti sono mediatori, cui si aggiungono i mediatori linguistici, gli spazi, le strategie, le tecnologie e gli strumenti (come dispositivi che “sono a disposizione” del docente e dello studente).
Roberto Bondi ricorda, invece, che in questo momento di emergenza chi già attivava una didattica diversa si è mosso con più agio: quali sono le dotazioni necessarie? Tre punti: l’autonomia, l’inclusione e la sostenibile. La non frontalità, la didattica del fare può essere realtà quando gli studenti sono autonomi. I sistemi operativi di Device che oggi abbiamo in mano, contengono quegli elementi che fino a qualche anno fa erano a pagamento e in mano a pochi esperti. Ciò che usano i ragazzi a casa e a scuola deve durare nel tempo, adottando soluzioni durature che escano dalla cornice degli intenti (“mi doto, quindi sono”). Relazioni, contesti e gradualità sono le parole che devono definire la scelta dei device.
Federica Deganutti, che ha partecipato alla sperimentazione e al progetto Depit, ricompone il senso della APP di Depit, ispirata al Conversational Framework sviluppato da Diana Laurillard: avere tutti i materiali a disposizione, lavorare con i bambini, esplicitare la progettazione e documentare in tempo reale. Nasce da un lavoro di squadra, Depit, partendo dalle esigenze dei docenti e offrendo agli studenti un quadro di insieme sul proprio percorso (una risorsa soprattutto nella scuola primaria).
In questo momento di distanza, la APP Depit è servita più che mai per fare passi avanti, senza perdere il contatto con i bambini e lavorando con i colleghi, progettando e organizzando le attività, utilizzando i materiali dei bambini e scrivendo insieme in maniera esplicita (modificando i materiali come “rete”). Un lavoro agile, prima ancora che si parlasse di “home working”, grazie a un percorso formativo e a una sperimentazione che ha consentito al gruppo di insegnanti di rimanere aperti al cambiamento e lavorare insieme (anche a distanza).
Vi aspettiamo il 26 e il 29 maggio per il convegno internazionale che chiude il progetto Depit (due mezze giornate online, https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSd79jjya_7gFbbxmZh_nNq-ujUO84FUFFVXkOqxuTX8Nkqv2Q/viewform?fbclid=IwAR1wnZ-AoZD3WFywVw5qwBzJEao40QHtlRGmBxharAES4GSSHchY-sVJi6s), ricordandovi il MOOC associato al progetto, disponibile a questo link e gratuito: https://www.europeanschoolnetacademy.eu/courses/course-v1:DEPIT+design_personalisation_technologies+2020/about
Qui un articolo che racconta il progetto: https://www.cremit.it/depit-una-app-per-una-progettazione-didattica-esplicita-consapevole-e-condivisa/).
Aggiungiamo in coda un articolo uscito su Avvenire il 28 maggio sulla formazione degli insegnanti e la didattica con il digitale, con una intervista ad Alessandra Carenzio.