Il numero di marzo della Rivista EaS. Essere a Scuola propone di indagare tre aspetti importanti in tema di cittadinanza:
- la cittadinanza che include
- imparare a vivere il mondo
- in cammino verso la giustizia
Condividiamo qui l’editoriale di Pier Cesare Rivoltella e il sommario del settimo numero.
Tecnologie dello spirito di Pier Cesare Rivoltella
Nel gennaio scorso, in occasione del congresso annuale dell’UCIIM (Unione Cattolica Italiana Insegnanti, Dirigenti, Educatori, Formatori), mi è stato chiesto di riflettere sul rapporto tra la scuola e il digitale nella prospettiva della cittadinanza e delle possibili linee per una nuova paideia. L’ho fatto tenendo sullo sfondo (come in questo editoriale) due testi di riferimento: Reincantare il mondo, un libro in cui Bernard Stiegler (2012) riflette su come neutralizzare il capitalismo libidinale e liberare il “Desiderio” degli individui; un articolo di Mitch Resnick (2023) sulle opportunità che l’Intelligenza Artificiale può garantire a una rappresentazione “umana” della tecnologia. Lo schema del mio intervento era semplice, costruito su tre passaggi: una tesi; la sua spiegazione; l’accenno ad alcune delle conseguenze che ne derivano. Li ripropongo in estrema sintesi anche qui.
Il principio di significatività
La mia tesi è che ogni nuova ondata tecnologica (siamo almeno alla terza, quella dei dati e dell’IA, dopo quelle del computer e di internet) sollecita modi diversi per essere integrata in scuola; questi modi dipendono da alcune decisioni che comportano di sapere che tipo di educazione e di apprendimento vogliamo per i nostri figli (Rivoltella, 2018). Altrove ho definito questa istanza “principio di significatività”. Si tratta di un principio che regola l’adozione della tecnologia in scuola e che risponde alla domanda: perché digitalizzare? Per quale motivo introdurre tecnologie nell’organizzazione e nella didattica? Si tratta di un principio che anticipa e orienta tutte le altre domande che attorno all’adozione della tecnologia in scuola è possibile farsi: come? (le metodologie), cosa? (strumenti e ambienti), per chi? (i destinatari: la generazione Z), da parte di chi? (gli insegnanti, le loro competenze).
Resnick (2023) fa la sua proposta suggerendo che la massima priorità educativa oggi è che i giovani si sviluppino come esseri umani creativi, premurosi e collaborativi.
Quando le tecnologie digitali rispondono a questa istanza, con Stiegler (2006) le si può definire “tecnologie dello spirito”, o “dell’anima”.
Creatività, premurosità, collaborazione
Se riprendiamo le tre indicazioni di lavoro suggerite da Resnick diviene possibile comprendere meglio a cosa egli faccia riferimento.
Sviluppano la creatività tecnologie che non limitino la libertà e la agency dello studente. Non servono tool basati su script o su form da riempire: tenderebbero a standardizzare i comportamenti promuovendo il conformismo e non il pensiero divergente. Serve, invece, un approccio basato sui linguaggi che ne consenta un’appropriazione originale: in questo consiste il valore educativo del coding. Ancora: sviluppano la creatività, tecnologie che non rispondono a una logica di istruzione, ma di costruzione, nella prospettiva di Papert. Infine, non si concentrano su problemi a risposta chiusa, ma a risposta aperta: nel prompting con cui si interagisce con ChatGPT non ci sono scelte giusto o sbagliate, ma infinite possibilità di essere più o meno efficaci.
La tecnologia contribuisce a sviluppare premurosità se non si concentra sul profitto, ma sulla democrazia (Nussbaum, 2010). Si concentra sul profitto, la tecnologia, se risponde a una logica di funzione, ovvero se anticipa lo sviluppo delle competenze digitali in età precoce per preparare i futuri professionisti della società dell’informazione; questo comporta che la scuola si faccia suggerire dal mercato quel che deve insegnare. Si concentra, invece, sulla democrazia se risponde a una logica di cittadinanza: sviluppa consapevolezza e pensiero critico, genera le condizioni perché la scuola possa diventare uno spazio in cui si impari a essere liberi. Intese in questi termini, le tecnologie possono contribuire a creare le condizioni perché la classe possa risuonare (Rosa, 2020): in una classe che risuona, “brillano gli occhi”, sia agli studenti che agli insegnanti.
Veniamo, infine, alla collaborazione. Viene sviluppata quando le tecnologie sono al centro di processi di insegnamento/apprendimento costruiti non su enigmi, ma su progetti (Resnick, 2023), servono a generare e mantenere relazioni, consentono di costruire l’aula come una comunità. È questa la prospettiva di quel paradigma pedagogico e di intervento nel sociale che viene identificato dal costrutto delle tecnologie di comunità (Rivoltella, 2019): contrariamente alla rappresentazione diffusa della tecnologia come qualcosa che indebolisce i legami, le tecnologie di comunità invitano invece a pensarla come un’opportunità per allestirli e mantenerli.
Disposizioni di cittadinanza digitale
Proviamo in ultima istanza a individuare alcune piste di lavoro mettendo in relazione con esse altrettante dimensioni della cittadinanza digitale: una cittadinanza che nel nostro tipo di società coincide sempre più con la cittadinanza tout court.
David Buckingham, nel 2019, nel suo Manifesto della Media Education, invita a non concentrarsi sugli strumenti ma a guardare a una “Bigger Picture”, un’immagine più larga. Quest’immagine è attenta agli imperativi dell’economia di mercato e di compenso sugli investimenti delle imprese. Sa guardare alla Bigger Picture un cittadino avveduto, critico, resistente.
Occorre, in seconda battuta, privilegiare le logiche rispetto agli strumenti. La tecnologia non sono i device, ma un certo modo di pensare la natura per trasformarla a vantaggio dell’uomo, ma sempre nel rispetto per essa. Ne deriva il profilo di un cittadino responsabile, capace di custodia e non di violenza. Terzo: né esaltare, né respingere. La tecnologia, come ricorda Platone nel mito del Fedro, è phàrmakon, veleno e allo stesso tempo rimedio. Va accettata nella sua ambiguità strutturale, senza scorciatoie, ricette, semplificazioni. È il tratto di un cittadino consapevole.
Infine, le pratiche digitali non sono “altro” rispetto alle normali pratiche didattiche. Il digitale oggi è parte integrante delle nostre vite, non se ne avverte più la separatezza, è pervasivo. È questa la dimensione che consente di parlare di un cittadino “postdigitale”.
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