Il numero di giugno della Rivista EaS. Essere a Scuola propone di indagare tre aspetti importanti in tema di cittadinanza:
- Vacanze o compiti?
- Equilibrio tra riposo e apprendimento
- Affrontare le sfide educative
Condividiamo qui l’editoriale di Pier Cesare Rivoltella e il sommario del decimo numero.
Rischi responsabili di Pier Cesare Rivoltella
Arthur Costa e Bena Kallick (2007) hanno dedicato un libro a quelle che hanno definito “disposizioni della mente”. Di cosa si tratta? Nella letteratura internazionale, il termine che identifica questo dispositivo è habits of mind. Qualcuno in italiano traduce con “atteggiamenti”, a comporre con le abilità e le conoscenze una terna ben nota nei contesti formativi. In latino, il termine habitus indica un modo di fare che si acquisisce con il tempo, è il risultato di una forma di azione padroneggiata quasi automaticamente, un modo di comportarsi ottenuto attraverso ripetuta applicazione: da cui, appunto, abitudine. Non si tratta di qualcosa di innato. Non è un “essere fatti in un certo modo”. Horace Mann, educatore statunitense vissuto tra ’7 e ’800, soleva dire: «La disposizione è una fune; ogni giorno intrecciamo un filo e alla fine non possiamo romperla». E ancora: «La somma della nostra intelligenza è la somma delle nostre disposizioni della mente». Le disposizioni della mente si possono educare. Tra le 16 che Costa e Kallick autori censiscono, ce n’è una che merita particolare attenzione: “assumere rischi responsabilmente”. Credo sia una bella disposizione della mente, sia per l’insegnante che per il dirigente scolastico. Vediamo di cosa si tratta.
In cerca di una definizione
Diciamo subito cosa non sia assumersi rischi responsabilmente. Di sicuro non è fare scelte spericolate. Accompagnare in uscita scolastica una classe di bambini dei primi anni della scuola primaria senza disporre del giusto rapporto tra bambini e insegnanti accompagnatori, senza provvedere alle coperture assicurative, senza ottenere il nullaosta dei genitori, è una scelta spericolata. Vuol dire mettere a repentaglio la sicurezza dei bambini, esporre la scuola a dei rischi gratuiti, non rispettare il patto educativo stretto con le famiglie. Non è nemmeno sfidare la Provvidenza. Quando ero un ragazzino, trascorrevo parte delle mie vacanze estive a Pré-Saint-Didier, un piccolo comune subito prima di Courmayeur. Stavo in soggiorno con i salesiani. Con loro ho fatto escursioni memorabili di cui porto con me ancora un nitido ricordo. Ma se considero con il senno di poi come si andasse in montagna in quelle escursioni – spesso in cordata da 5 o da 7 sul ghiacciaio, picozza e ramponi solo a chi apriva e chiudeva, gli altri in mezzo spesso con le scarpe da ginnastica – mi viene da pensare che si sfidassero tutti insieme, in un sol colpo, Don Bosco, Maria Ausiliatrice e Domenico Savio. È sempre andata bene, tutto sommato, ma credo sia dipeso dal loro superlavoro di intercessione. Infine, non è prendersi rischi calcolati. Il rischio calcolato è studiato a tavolino, quasi pianificato, non pare nemmeno più un rischio. Capita quando durante un viaggio di istruzione concedo qualche ora di tempo libero agli studenti ben sapendo di averli portati in una zona tranquilla della città, lontani dai luoghi della movida e di potenziali pericoli, e so che il tempo che ho concesso non sarà loro sufficiente per raggiungere quei luoghi e tornare indietro. Ai tempi del liceo, a Venezia, scelsero per noi (classe di soli maschi) una pensioncina dietro alla Salute, convinti di averci portati lontani dalle tentazioni che chissà perché si doveva trovare dalle parti di Piazza San Marco. In quella stessa pensione c’era una classe di Torino: tutte ragazze. Notte in bianco per tutti i nostri accompagnatori. In fondo, anche il rischio ben calcolato può presentarti il conto.
Dare fiducia
Nel 1955, con l’aiuto dell’allora Cardinale Montini (il futuro Paolo VI), i Salesiani ricevono in gestione il vecchio carcere minorile “Cesare Beccaria”, ad Arese, a nord di Milano. Diventa primo direttore della Casa Don Beniamino Della Torre che prende subito due decisioni: abbattere le recinzioni, aprire le celle e buttare le chiavi nei tombini. E a Natale, il Natale del 1955, il primo dei salesiani ad Arese, manda a casa tutti i ragazzi. Un rischio enorme, almeno così sembrava: quanti avrebbero tentato di scappare e non sarebbero più tornati? Don Della Torre ebbe ragione, come già Don Bosco esattamente un secolo prima quando chiese al ministro Rattazzi il permesso di portar fuori per una giornata intera i ragazzi detenuti nel carcere minorile della Generala: messa al campo a Stupinigi, pranzo al sacco, rientro in carcere; Don Bosco li salutò tutti, uno a uno, prima di lasciarli. Nessuno mancava all’appello, nel 1955 come nel 1855! Questo è un esempio di rischio responsabile. Ovvero: c’è un valore più alto che lo rende degno di essere corso. Questo valore è la vita dei giovani, la loro salvezza, il loro bene. E chi prende quel rischio crede nell’educazione, crede nel valore del dare fiducia ai ragazzi, è convinto che loro capiscano bene le intenzioni dell’adulto che sta loro davanti. Raccomandava Don Bosco ai suoi salesiani: “Studiate di farvi amare”. Non significa essere accondiscendenti, troppo morbidi, darle tutte vinte: si può essere amati anche se si è severi, se dietro si legge chiaramente che tutto è fatto per amore.
Il rischio è bello
Spesso si fa di tutto pur di non prendersi rischi. Si tratta di un orientamento particolarmente evidente soprattutto oggi. Serve a non crearsi fastidi, a non mettersi nei guai, ma anche (così si pensa) a proteggere i ragazzi. Soprattutto in famiglia, una famiglia “affettiva” iper-preoccupata dell’incolumità dei figli, del fatto che non si mettano in pericolo, la scelta è di proteggere, senza accorgersi che proteggere è diverso da educare, anzi, è il contrario di educare. Perché l’educazione presuppone sempre che si corrano dei rischi. Quando spiego ai miei ragazzi cosa non fare, faccio capire loro che se lo facessero mi darebbero un grande dispiacere, poi alla fine non posso fare a meno di lasciare che facciano le loro scelte. Il “lasciare andare”, il “lasciar fare”, è parte integrante dell’atto educativo: guai se, dopo aver detto e fatto tutto quello che dovevo, non li lasciassi andare. Significherebbe negare al ragazzo quello spazio di libertà solo entro il quale si può esercitare la sua responsabilità. Anche se il rischio che sbagli c’è. Un rischio che l’educatore deve mettere in conto: un rischio responsabile perché subordinato al desiderio di formare un uomo/una donna capace di fare scelte e poggiato sulla convinzione di aver educato. Platone, nel Fedone, alludendo al mito che racconta il destino delle anime dopo la morte, osserva che non si può certo essere sicuri che le cose stiano esattamente così come le ha raccontate, ma di sicuro, che stiano più o meno così, ci si può avventurare a crederlo, perché il rischio è bello. Credo che la bellezza del rischio si possa sperimentare anche in educazione. Capita tutte le volte in cui si prendono rischi responsabili: si concede fiducia e se ne viene ripagati. L’istruzione, oltre che orizzontalmente, si estende in profondità. Lo ricorda Mino Laneve nel suo articolo in questo numero: l’ultimo articolo, perché Mino Laneve ci ha lasciati nei mesi scorsi. Rimane in tutti noi il ricordo di una persona autentica, di un maestro di immensa cultura, di un uomo che ha amato l’insegnamento in modo profondo.
Riferimenti bibliografici
Costa A., Kallick B. (2007). Le disposizioni della mente. Come educarle insegnando. LAS, Roma.
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