Il numero di dicembre della Rivista EaS. Essere a Scuola propone di indagare tre aspetti importanti nella pratica didattica:
- Storia e Memoria
- Identità pubblica e collettiva
- Comunicazione interculturale
Condividiamo qui l’editoriale di Pier Cesare Rivoltella, il sommario del quarto numero.
Il farmaco della memoria
di Pier Cesare Rivoltella
Il mito è in qualche modo il contrario del logos. Costituisce una spiegazione narrativa delle cose, procede per analogie, non definisce; invece, il logos argomenta in maniera stringente, lavora sui nessi causali, si costruisce sulla definizione esatta dei fenomeni. Sembrerebbe (e a molti è sembrato) che si tratti di abbandonare il primo per guadagnare il secondo: i racconti pare siano fatti per i bambini e per l’uomo fino a quando gli uni non diventano adulti e all’altro la scienza non consente di rimpiazzarli con le spiegazioni razionali. Ma proprio la familiarità del mito con l’analogia e la metafora, proprio la sua incapacità di definire, gli consente di accennare, suggerire, far immaginare. Il risultato è che il mito dice molto di più di quanto il logos non possa fare.
L’argomento di Teuth
Il mito di Teuth, contenuto nel Fedro, è uno dei miti più citati e commentati di Platone. Racconta la nascita della scrittura immaginando che sia stato il dio Teuth a proporne l’adozione al re d’Egitto Thamus. Giovanni Reale, nelle sue lezioni, assecondando la sua vocazione istrionesca, presentava Teuth come un piazzista, un rappresentante, che, come tutti i rappresentanti, è bravo a esaltare le caratteristiche dei suoi prodotti. Il prodotto in questione è la scrittura e l’argomento principe di Teuth è che con essa si sarebbe scoperto il farmaco della memoria. Infatti, secondo il dio, se uno ha la possibilità di scrivere, quello che avrebbe fatto fatica a tenere a memoria, lo può salvare proprio grazie allo scritto e quindi la memoria trova nello scritto un potentissimo alleato. Possiamo dire che questo argomento è tipico di un esponente di una cultura a oralità primaria. È primaria quella forma di oralità che ancora non conosce la scrittura (Ong, 1982). In essa l’unico modo per trasmettere alle generazioni successive il patrimonio di conoscenza della precedente è tenerle a memoria e poi affidarle alle diverse forme di narrazione orale. Il problema di questa cultura è quindi la memoria: come produrla, come sostenerla, come custodirla. Si tratta di un problema che diviene particolarmente critico quando le cose da mandare memoria aumentano di numero e in complessità. Qui interviene la scrittura, risolvendo il problema. Ecco perché Teuth presenta a Thamus la scrittura come il farmaco della memoria. Il dio, mettendosi nei panni del re e assumendo il punto di vista della cultura orale, gli spiega come si possa risolvere il problema di fare memoria di quel che conta e che merita di essere tramandato: lo si può scrivere.
L’argomento di Thamus
Nel mito Platone si identifica con il re Thamus. I suoi argomenti sono di fatto gli argomenti di Platone, strenuo difensore del valore dell’oralità per una ragione che è allo stesso tempo pedagogica e biografica. La ragione pedagogica è che Platone comprende quale sia il vero significato della scrittura e con essa di tutte quelle che potremmo chiamare tecnologie della distanza, dal libro fino alla televisione e a internet: affrancano chi comunica dalla condivisione del luogo. Il vantaggio è che il messaggio arriva potenzialmente a tutti, ma si perde il controllo su come viene letto e compreso. Qui si innesta la ragione biografica. Come si evince dalla Lettera VII, Platone vede in Dioniso II di Siracusa la prova vivente di come lo scritto non sia affidabile. Platone era stato consulente dello zio di Dioniso, Dione, che era poi caduto in disgrazia presso il nipote che gli era succeduto al potere. Dioniso aveva ascoltato dallo zio e ricostruito dai suoi scritti le dottrine di Platone convincendosi di averle apprese. Ma poi tradì la fiducia tanto dello zio che di Platone confermando il filosofo nell’idea che solo il discepolo che ascolta direttamente dalla voce del maestro il suo pensiero può comprenderlo correttamente.
Nel mito di Teuth, Platone risponde al dio per bocca di Thamus, che la scrittura non è il farmaco della memoria (tès mnemosynes) ma del richiamare alla memoria (tès ypomnemathikèes tèchnes). Ovvero: lo scritto aiuta a ricordare, ma proprio perché sappiamo di aver scritto, sarà più facile che dimentichiamo e a lungo andare perderemo la memoria. Michel Serres, molti secoli dopo, occupandosi delle memorie esterne – quelle digitali – aggiungerà una chiosa a questo argomento: e cioè che il fatto di aver depositato in una memoria esterna (quaderno, audioregistrazione, video o file digitale che sia), non solo ci può far dimenticare di quel che vi abbiamo depositato, ma spesso anche di dove lo abbiamo depositato. Da questo punto di vista, scrivere (in qualsiasi forma) può davvero voler dire dimenticare.Memoria e ricordo
La lezione di Platone è che il ricordo e la memoria non sono la stessa cosa. Provo a spiegare perché attraverso tre rapide considerazioni.
Anzitutto il ricordo è estrinseco, la memoria no. Platone, per bocca di Thamus, lo motiva quando dice che la scrittura ha solo un valore ipomnematico: aiuta a ricordare. Per ricordarmi di qualcosa, ho sempre bisogno di uno stimolo, di uno spunto. Ricordiamo quando vediamo una fotografia, quando ci ritorna in mano un appunto annotato tanto tempo prima, quando riprendiamo dallo scaffale un libro letto tanti anni prima e leggiamo nei margini le annotazioni che ci avevamo lasciato, o quando Facebook ci restituisce immagini o post che si riferiscono a fatti del passato. Lo stimolo innesca il ricordo, come la madeleine di Proust. La memoria, invece, trattiene: non c’è bisogno di stimolare i miei ricordi di mia madre, perché mia madre è parte della mia memoria, una memoria anche corporea.
In secondo luogo, proprio perché viene innescato da uno stimolo, da una madeleine, il ricordo è istantaneo, vive dell’istante. Nel momento in cui viene richiamato alla memoria, torna a presentarsi vivido, risveglia persino i marcatori somatici (Damasio, 1994) che sono collegati a esso: proviamo quel che avevamo provato, riviviamo le stesse emozioni. Il tempo della memoria, invece, non è l’istante ma la durata. Ciò di cui facciamo memoria ci costituisce, ci è sempre presente.
Infine, il ricordo è sempre ricordo del passato, è il passato. Il movimento del ricordo è il ritornare indietro: un movimento nostalgico, che torna indietro per fuggire un problema, per trovare conforto, per riassaporare un tempo felice spesso in relazione a un presente o a un futuro che invece fanno paura. La memoria, invece, come scrive Kierkegaard (1843), è un retrocedere procedendo: un andare avanti trattenendo il passato.
Riflettere sulla lezione di Thamus e su queste istanze, significa capire che differenza passa tra il semplice ricordare e il fare memoria. Quest’ultimo, dice sempre Kierkegaard, è la serietà della vita: non negare nulla di ciò che è stato, trattenerlo dentro di noi, e andare avanti.
Per approfondire:
È possibile sottoscrivere l’abbonamento alla rivista per l’a.s. 2023/2024 in versione digitale o cartacea.
Per effettuare l’ordine e avere maggiori informazioni questa è la pagina dedicata: https://www.morcelliana.net/riviste/abbonamenti.