Durante il workshop “Pensiero computazionale e didattica”, insegnanti e comunità scientifica hanno condiviso e riflettuto sulle strategie e le metodologie con cui oggi la scuola si sta mettendo in gioco per rispondere a una delle sue mission: esercitare il pensiero computazionale. Esso “non si insegna”, afferma il professor Alessandro Bogliolo, “ma è una qualità umana” che deve essere esercitata affinché possa affinarsi, strumento necessario per potersi orientare tra i linguaggi di oggi.
Quattro esperienze dal Trentino alla Calabria, scelte tra infanzia, primaria e secondaria, testimoniano che la metodologia che oggi la didattica sta esplorando maggiormente è il coding. Con esso si intende il linguaggio rigoroso della programmazione, basato su algoritmi logici attraverso cui è possibile segmentare la realtà per renderla governabile e comunicabile attraverso una serie di istruzioni, e in questo modo affrontare e risolvere problemi.
Costruire ambienti di apprendimento attorno alla logica del coding significa progettare momenti didattici in cui gli alunni, da protagonisti, a partire da situazioni reali agiscono sulle proprie idee, le organizzano, le descrivono e le trasformano in azione. In questo senso, il coding in quanto linguaggio è una vera e propria forma di espressione che, pur funzionando su una sintassi logica rigorosa, fatta di regole e incastri, a livello semantico ha un importante potenziale metacognitivo, creativo e divergente.
Il coding, allora, sembrerebbe un valido strumento per esercitare il pensiero computazionale e dunque costruire competenza.
Nello specifico i quattro istituti comprensivi coinvolti sono:
VII D.D Carducci – Livorno, Toscana; I.C. Strigno e Tesino – Castel Ivano, Trento; I.C. Montalto Uffugo – Taverna, Calabria; D.D Fidenza, Emilia Romagna.
Francesca Zago