Secondo articolo di tre sulla collaborazione di Cremit con l’Istituto Achille Ricci.
di Matteo Rigamonti, giornalista e studente del Master in Media Education Manager (Mem)
Per essere ben eseguita e risultare piacevole all’udito una sinfonia necessita, oltre che di un’orchestra preparata, di un direttore capace di tirar fuori il meglio da fiati, archi e ottoni. Lo stesso potrebbe dirsi di un film, del suo regista e dei suoi attori ed è forse per questo motivo che l’Istituto Achille Ricci (di cui vi abbiamo appena raccontato la storia) ha deciso di avvalersi nella progettazione del curricolo verticale di Media Education per l’anno scolastico 2019-2020, il secondo dall’avvio della collaborazione, della professionalità ed esperienza del Cremit, il Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media all’Innovazione e alla Tecnologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. E lo ha fatto coinvolgendo tutti i membri della scuola – dalle maestre dell’infanzia ai professori delle medie, dalle insegnanti di sostegno alle famiglie – nell’appassionante opera di educare studenti e studentesse ad essere i protagonisti del domani, anche in quel particolare terreno e contesto che è rappresentato dalla cittadinanza digitale.
“Ciò che la scuola ha chiesto al Cremit è innanzitutto una supervisione in senso lato rispetto all’aggiornamento delle metodologie didattiche e a un approccio pedagogico integrato”, spiega Michele Marangi supervisore del percorso di Media Education all’Achille Ricci. Il Cremit dunque, che fondamentalmente lavora su due livelli, quello delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e quello della media education, ha elaborato una proposta di offerta formativa imperniata su tre elementi chiave. Prosegue Marangi: “Primo. Verticalità del curricolo, dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di primo grado, e ciò significa continuità. Secondo. attenzione particolare all’apprendimento per competenze stabilendo indicatori condivisi per una valutazione integrata. Terzo. Capacità di lavorare sulle canoniche tre direzioni dell’educare con, ai e per i media”.
È quest’ultimo un concetto assai caro al Cremit che significa: “sapere usare i media per affrontare temi didattici e per far emergere le percezioni di chi li usa (educare con i media), saperli decodificare rispetto ai loro codici e linguaggi (educare ai media), saper produrre formati mediali (educare per i media)”. Ma c’è di più (e qui Marangi cita la nuova edizione di Media Education di Pier Cesare Rivoltella, presidente e direttore scientifico del Cremit): “occorre saper lavorare in classe nei e sui media e cioè: saperli utilizzare nella didattica non soltanto come strumenti tecnologici (la lim o i tablet) ma mediali in senso lato (per esempio introdurre al concetto di portabilità) e senza dimenticare che oggi i media sono industria, economia, condizionamento sociale”. Come a dire: bisogna saperli usare ma con una certa consapevolezza, responsabilità e distacco critico.
Con un avvertenza, però. “Non si tratta in questi casi di creare solo competenze specifiche, ma competenze trasversali che non siano scisse dalla didattica tradizionale e che vadano a innestarsi con ciò che gli insegnanti già fanno nelle loro materie”, precisa Marangi. “La media education, infatti, ha sì delle sue specificità; ma possiede anche delle trasversalità: è il concetto di educazione civica digitale, proposto dal Miur e non inteso come fare educazione civica con strumenti digitali, ma come ragionamento profondo su cosa vuol dire essere cittadini nell’epoca digitale”. E qui Marangi recupera ancora una volta il discorso fatto da Rivoltella, questa volta in Tecnologie di comunità per cui “i media non sono più solo strumenti da usare o ambiente in cui collaborare, ma sono tessuto connettivo” e quello di Luciano Floridi rispetto all’infosfera per cui “noi non siamo né online né offline ma sempre on-life”.
Tutto ciò come si traduce? Nel MeLab, il Media Education Laboratory, un curricolo verticale da 428 ore complessive di cui: 2 ore di Media Education a settimana per 25 settimane nella scuola dell’infanzia; 2 ore di Media Education a settimana per ciascuna classe (e sono cinque, una per anno) della scuola primaria; due laboratori da 10 ore ciascuno per le due classi della scuola secondaria di primo grado che all’Achille Ricci è nata l’anno scorso. A ciò si sommano le 10 ore di formazione per insegnanti al fine di allineare le competenze sulla Media Education con quelle sugli Episodi di Apprendimento Situato (il metodo Eas) che sono un’altra delle specificità didattiche e pedagogiche che caratterizzano profondamente l’intera attività del Cremit, oggetto di un’altra formazione per gli insegnanti. E infine le ore di formazione serali per i genitori, per dare continuità tra ciò che i loro figli apprendono in classe e le loro pratiche quotidiane di utilizzo dei media in famiglia.
Sul piano dei contenuti, la proposta del MeLab abbraccia tutte le aree che caratterizzano l’Educazione Civica Digitale da tempo caldeggiata dal Miur: internet, educazione ai media, all’informazione, dati e intelligenza artificiale, cultura e creatività digitali. Il fine? Accrescere la Competenza Digitale, secondo la prospettiva indicata dalla raccomandazione della Commissione europea del 20 agosto 2009 sull’alfabetizzazione mediatica in ambiente digitale sviluppando tra direttrici: quella alfabetica (strumenti e codici), quella critica (analisi e riflessione), quella espressiva (produzione responsabile). A ciò si è deciso di affiancare, di comune accordo tra Cremit e scuola, le competenze di tip informatico e tecnologico. Il tutto privilegiando sempre, laddove possibile, un approccio di tipo ludico e creativo-autoriale, meglio se attraverso attività già familiari a bambini e ragazzi e sempre partendo dall’analisi reale dei consumi e delle loro abitudini dentro e fuori casa.
Secondo articolo di tre sulla collaborazione di Cremit con l’Istituto Achille Ricci.
Leggi qui il primo: Cent’anni di sfide educative, dalle guerre al digitale. Così l’Achille Ricci rinnova la sua missione