Il direttore del Cremit Pier Cesare Rivoltella ha appena pubblicato il libro “Il corpo e la macchina. Tecnologia, cultura, educazione”, insieme al presidente della Sirem (Società Italiana di Ricerca sull’Educazione Mediale) Pier Giuseppe Rossi dell’Università di Macerata. Il testo è pubblicato nella collana Orso Blu, per il marchio Scholé dell’Editrice Morcelliana.
Il libro è una sorta di piattaforma programmatica per lo studioso e il formatore, costruita come risposta al paesaggio culturale attuale, segnato dal protagonismo della tecnologia e dal trionfo dei dati.
Pubblichiamo qui l’Introduzione dei due autori.
Questo libro nasce dall’amicizia degli autori e da una lunga collaborazione che ha come tema il rapporto tra la tecnologia e l’educazione e si pone l’obiettivo di discutere, in maniera netta e volutamente un po’ provocatoria, come questo rapporto si possa declinare oggi nei contesti formativi, dalla ricerca alla scuola.
La posizione che si è scelto di assumere è quella dell’approccio socio-culturale (Fishman, Dede, 2016) che considera la tecnologia come qualcosa di antropologicamente costitutivo (Durand, Poizat, 2017a). Tale approccio comporta di riconoscere almeno tre tesi alla base della comprensione di cosa la tecnologia sia e di come agisca in relazione agli individui e ai gruppi.
Anzitutto, le tecnologie sono interne al sistema uomo-macchina-ambiente. Parlare di tecnologie significa parlare dei processi cognitivi, etici e sociali del contesto attuale. Le potenzialità e i limiti non dipendono da uno solo dei componenti, ma dalle loro interazioni. Questo richiede di evitare qualsiasi separazione in quanto il senso emerge solo analizzando la relazione tra tecnologie e contesto socio-culturale, tra reale e virtuale, tra umano e macchina. L’approccio tecno-centrato che nelle sue due forme – la tecnofilia e la tecnofobia, fino all’estremo del luddismo – isola uno solo dei tre componenti, considerando la tecnologia a prescindere dagli individui e dai contesti, produce analisi inutili.
In secondo luogo (e proprio come conseguenza di quel che abbiamo appena osservato), le tecnologie vanno pensate al di là di riduzionismi e determinismi.
In un sistema complesso non ha senso parlare di causa ed effetto, ma l’attenzione va posta sul sistema e sulle modalità locali e globali con cui si struttura ed evolve. Separare i diversi elementi e provare a considerarli singolarmente potrebbe spostare l’attenzione dalle logiche del sistema impedendone la comprensione o attribuendo a esso cause ed effetti che non gli appartengono, mentre la qualità e la specificità derivano non tanto dai singoli elementi quanto dalle relazioni tra essi. Tutte le ricerche che tradizionalmente si chiedono se le tecnologie migliorino o peggiorino gli apprendimenti, o se i media digitali facciano male o facciano bene ai bambini, sono mal poste.
Infine, occorre pensare alle tecnologie non nel senso di un’etica del rischio, ma delle opportunità. Il problema non è comprendere se le tecnologie siano più o meno buone in sé e per sé, indipendentemente dal contesto, o se siano la causa dei problemi che ci circondano, ma comprendere il valore e le potenzialità delle relazioni che a partire da esse e con esse si stabiliscono e, in primo luogo, che tipo di relazioni si stabiliscono tra umani e tecnologie e come lavorare su tali relazioni.
Certo i rischi, le oscillazioni, le possibili derive, sono tutti fattori da tenere in considerazione (e nel libro non mancheremo di evidenziarli), ma ci piace pensare che la complessità vada abitata, sempre.
Mai come in questa occasione abbiamo sentito il bisogno di un formato innovativo che consentisse di rompere l’organizzazione sequenziale che inevitabilmente il libro cartaceo impone alla trattazione e che, per così dire, consentisse di sfruttare la «profondità» del testo. Avendo alla fine deciso di affidare le nostre riflessioni comunque a un libro cartaceo, ci pare giusto di suggerire al lettore le logiche attraverso le quali accostarsi al testo.
Gli otto capitoli che compongono il libro sono da considerare come dei layers che si sovrappongono piuttosto che momenti successivi di un unico respiro argomentativo. Essi rappresentano, per così dire, delle prospettive di attraversamento del problema della tecnologia: la conoscenza (cap. 1), il linguaggio (cap. 2), l’antropologia (cap. 3), gli artefatti (cap. 4), l’educazione (cap. 5), la mediazione (cap. 6), la didattica (cap. 7), la ricerca (cap. 8). Proprio in quanto prospettive di attraversamento, essi non hanno l’ambizione di chiudere sui diversi problemi, quanto piuttosto di isolare le questioni che merita discutere disegnando in qualche modo i contorni della mappa di una ricerca ancora da fare. E così, ciascuna prospettiva di attraversamento individua almeno un problema che essa suggerisce al ricercatore: la natura frattale della conoscenza e il suo rapporto con la corporeità (cap. 1); il rapporto dell’immagine con il referente nella transizione dalla rappresentazione ai simulacri del terz’ordine (cap. 2); libertà, vita artificiale, necessità di pensare al di là della categoria di soggetto (cap. 3); gli artefatti tecnologici e la necessità di ridefinire il rapporto esistente tra natura e cultura (cap. 4); la centralità del senso critico e della responsabilità nella definizione delle nuove forme di cittadinanza (cap.5); il rapporto tra immersione e distanziamento e la centralità del corpo (cap. 6); l’articolazione tra macro e micro nella progettazione e nell’agire didattico (cap. 7); i limiti della Evidence Based Education e la necessità di collocarsi secondo prospettive di ricerca più inclusive e rispettose della complessità (cap. 8).
Tutto suggerisce chiaramente quale sia l’opzione al fondo del libro: muoversi all’interno di un paradigma indiziario, collocarsi nella prospettiva della razionalità limitata, far sorgere domande piuttosto che pretendere di fornire risposte definitive.
Un ultimo cenno lo dobbiamo a tutti coloro che ci sentiamo di ringraziare perché sono stati in qualche modo parte del percorso che ha generato il libro.
Maurizio Sibilio, che da anni condivide con noi una partnership umana e di ricerca: molto di quel che discutiamo in queste pagine è frutto delle riflessioni condotte insieme. Ilario Bertoletti, Andrea Garavaglia, Daniela Maccario, Guglielmo Trentin, che hanno letto il manoscritto e sono stati generosi nel farci pervenire le loro osservazioni. Maurizio Fabbri e Maria Ranieri, che hanno accettato di discutere pubblicamente i contenuti del libro ancora in fase di bozza in occasione del convegno di Macerata sulla didattica universitaria del novembre 2018. Gli spunti che tutti ci hanno fornito hanno di sicuro reso migliori queste pagine. Ora, nel momento di affidarle a chi le vorrà leggere, speriamo che siano generative: abbiamo bisogno di pensare la tecnologia perché, come diceva Heidegger, la tecnologia non pensa.
Pier Cesare Rivoltella, Pier Giuseppe Rossi