Nella sezione “A scuola con gli EAS”, l’Editrice Morcelliana-Scholé ha appena pubblicato il testo “Esercizi di pensiero. Fare filosofia con gli EAS” di Fabio Fiore e Giuseppe Morrone, insegnanti di storia e filosofia nei licei. Spiegano gli autori:
Il libro nasce da due convinzioni e da un bisogno. La prima convinzione è che la filosofia a scuola sia non solo un sapere disciplinare, ma anche un’attività, un esercizio. Un “esercizio spirituale”. La seconda che il filosofo sia un artigiano, colui che, con competenza e maestria, produce alcuni oggetti: domande, problemi, concetti, risposte, negoziazioni. Il bisogno è quello di affrontare l’insegnamento e l’apprendimento della filosofia a scuola dotandosi di strumenti che permettano, al docente e al discente, di imparare a “fare filosofia” per meglio “conoscere la filosofia”. Occorre entrare nella “bottega” del filosofo per provare a impararne il mestiere. Lo strumento adottato per seguire le convinzioni e provare a soddisfare il bisogno è quello degli Episodi di Apprendimento Situato (EAS), che non rappresenta solo un metodo, ma una filosofia della didattica basata su una nuova idea di scuola. Si parte dalle competenze filosofiche da allenare e sviluppare: concettualizzare, problematizzare, argomentare e negoziare, per presentare poi alcuni EAS “al microscopio” e un’ipotetica “cassetta degli attrezzi” (esperimenti mentali, esempi e controesempi, concetti, distinzioni, azioni filosofiche).
P.C. Rivoltella
Pier Cesare Rivoltella, ideatore del metodo EAS, firma la “Lezione a posteriori” che conclude il libro. La riportiamo qui per Cremit.it.
Lezione a posteriori
Conosco Fabio Fiore da anni. Mi chiamò all’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società contemporanea di Torino per una conferenza sulla Media Education. Era il 2005 e mi chiesi subito se non ci fosse stato un errore, se avesse capito cosa fosse la Media Education. Compresi durante e dopo il mio intervento che lo aveva capito benissimo, tanto bene da intuire che i media erano, sono, questione di cittadinanza e di conseguenza riguardano da vicino lo storico, in particolare il contemporaneista. Quella conferenza fu l’occasione per attivare negli anni successivi due edizioni del mio Corso di Perfezionamento in Media Education (2006/7 e 2007/8) anche a Torino, in collaborazione con l’Istituto. Quell’esperienza produsse un seminario (tra il 2008 e il 2009) che esitò in un volume, curato da me e Fabio insieme a Enrica Bricchetto: Media, storia e cittadinanza. Mentre ci si lavorava prese corpo l’idea di estendere l’operazione anche alla Filosofia, proprio come la Storia caratterizzata da una crisi riguardo alle possibilità della sua messa in forma didattica. Quell’idea crebbe negli anni successivi e prese sostanza dopo la pubblicazione, nel 2013, di Fare didattica con gli EAS. Coniugare gli EAS e la filosofia divenne l’obiettivo di Fabio cui a quel punto mancava solo un compagno di strada capace di convincerlo a fermare sulla carta il suo pensiero: Giuseppe Morrone ha risolto il problema, contribuendo in modo significativo alla riuscita di questo bel libro che ho il piacere di salutare in questa lezione a posteriori.
Storia o temi?
L’insegnamento della filosofia è rimasto per decenni consegnato, nel nostro Paese, al dilemma: storia o temi? E forse non lo ha ancora risolto.
La tradizione vuole che nella scuola secondaria si insegni la storia della filosofia. Si tratta di un retaggio idealistico, dovuto alla persistenza dell’imprinting gentiliano. Per un idealista la storia è la vita dello Spirito, ovvero il cammino che l’Assoluto descrive verso la propria compiuta realizzazione. Di questa vicenda la filosofia rappresenta allo stesso tempo la trascrizione e il momento di consapevolezza. Quindi studiare la storia della filosofia significa comprendere l’evoluzione dell’Assoluto, capire attraverso quali tappe si sia realizzato, dove si diriga, nella consapevolezza che (solo) lo sguardo retrospettivo consenta di cogliere il disegno complessivo, proprio come fa la nottola di Minerva levandosi in volo alla sera quando il giorno è finito, come suggerisce la bella immagine hegeliana.
La traduzione didattica di tutto questo si è sempre ridotta ad alcune domande molto prosaiche: “Come fai a capire Platone se non hai fatto Eraclito e Parmenide?”, “Ma tu riesci a saltare Spinoza?”, “Kant lo fai alla fine della quarta?”. L’idea della filosofia è quella di un continuum, nel quale non si possano lasciare spazi vuoti, perché ogni passaggio è necessario per comprendere il successivo: la filosofia, nella sua versione “storica” di scuola, “non facit saltus”. Ma il rischio, come suggeriva il mio professore di filosofia moderna Angelo Pupi, è che si riduca a un repertorio di cadaveri: corpi morti, collocati nel passato, che diventano oggetto di una sorta di “riesumazione didattica”.
Ciclicamente la spinta a uscire da questo schema ha preso corpo nel tentativo di privilegiare i temi rispetto alla storia, e questo eleggendo i testi a nuovo baricentro del lavoro didattico in classe. È quanto, ad esempio, propose la Commissione Brocca tra il 1988 e il 1992 rivedendo a titolo sperimentale l’organizzazione della scuola secondaria italiana. In un liceo “Brocca” ho iniziato la mia carriera di insegnante di storia e filosofia, proprio in quegli anni, e insieme a un collega – Luigi Lacchini – cercai di disegnare la mia idea di una didattica della filosofia “per temi” in un manuale per le scuole: lo intitolammo Intersezioni filosofiche, corredandolo di un floppy in cui mettevamo a disposizione degli insegnanti testi introdotti e commentati e altri materiali didattici. L’impianto storico lasciava spazio alla trattazione – in verticale, dalla filosofia antica a quella contemporanea – di tre grandi questioni:
• perché esiste qualcosa? (metafisica, ontologia);
• chi è l’uomo e cosa fa nel mondo? (antropologia, etica, politica);
• la realtà è così come il pensiero la pensa? (gnoseologia, epistemologia).
Qui, come si capisce, all’esigenza di riempire tutti gli spazi, si sostituisce quella di pensare i nessi: la filosofia, nella sua versione “tematica” di scuola, “facit (facere) saltus”. Ma erano in grado i nostri studenti di seguirci?
Dare ordine al mondo
Il libro di Fiore e Morrone rappresenta, a mio avviso, una convincente ipotesi, oltre il dilemma stesso e trova nell’EAS un dispositivo da far funzionare a questo scopo in tre direzioni.
1. La prima è quella didattica. Essa coglie nell’EAS un dispositivo di mediazione del punto di vista storico e di quello tematico. Un EAS di filosofia ha sempre un’impronta decisamente tematica, ovvero teoretica. Mette nel mirino un traguardo di competenza, esercita il pensiero degli studenti, assume la forma di un vero e proprio laboratorio delle idee. Questo significa che mette in campo degli stimoli, produce l’incontro con i testi, forza la rigidità del dispositivo storicistico di stampo idealistico. E tuttavia, nel framework concettuale, nel momento del debriefing, attraverso schede e materiali di approfondimento, assolve anche al compito di contestualizzare, non perde di vista la mise en place.
2. La seconda direzione è quella epistemologica. Nell’EAS Fabio e Giuseppe riconoscono un dispositivo di pensiero che traduce lo statuto disciplinare della filosofia. Un EAS di filosofia, mentre accompagna la classe a riflettere sui temi sullo sfondo dei contesti, costituisce un dispositivo di didattica indiretta nella prospettiva dell’insegnare a pensare. Le tre fasi che lo scandiscono funzionano in tal senso: nell’anticipatoria si formulano domande e si avanzano ipotesi; nell’operatoria si mettono le ipotesi alla prova; nella ristrutturativa si fa lavoro metacognitivo, si lascia spazio alla critica riflessiva che predispone al ritorno sulle ipotesi e al rilancio problematico. L’EAS – e trovo questa intuizione degli Autori geniale quanto lusinghiera – non serve solo a fare filosofia: è filosofia. Lo è perché nella sua struttura organizza il pensiero more philosophiae.
3. Quest’ultima osservazione anticipa la terza direzione, quella metateorica. Riprendendo Deleuze e Guattari, gli Autori riconoscono nella filosofia un modo per dare ordine al mondo. L’EAS, per così dire, duplica l’operazione, la rende iperbolica, perché se il compito del pensiero – a scuola di filosofia – è di dare ordine al mondo, l’EAS suggerisce un modo per dare ordine al pensiero che dà ordine al mondo. Gli EAS che chiudono questo libro, perfettamente progettati e dotati di tutti i materiali e gli strumenti che consentono la loro realizzazione in classe, dimostrano questa doppia struttura che è anche la doppia vocazione dell’insegnante di filosofia: insegnare a pensare e, attraverso il pensiero, dare ordine al mondo.
Riferimenti bibliografici
L. Lacchini – P.C. Rivoltella, Intersezioni filosofiche, CEDAM, Padova 1994.
P.C. Rivoltella – F. Fiore – E. Bricchetto (eds.), Media, storia e cittadinanza, La Scuola, Brescia 2012.
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