di Matteo Rigamonti, giornalista, studente del Master in Media Education Manager MEM). Professione e metodi
Riscoprire il valore conoscitivo della parola come strumento principe di dialogo e incontro. È questo il senso del decalogo di principi contenuti nella Carta di Assisi, vero e proprio manifesto culturale contro i muri mediatici, presentata a Roma nella sede della Federazione nazionale della stampa italiana.
Promuovere un’assunzione di responsabilità, personale e collettiva al tempo stesso, è l’obiettivo che si sono prefissi i firmatari, che ambiscono a contribuire alla depurazione del contesto comunicativo odierno dall’odio che troppo spesso inquina e pervade la scena pubblica – anche quella italiana – e guasta la dieta mediale dei cittadini.
Oltre ad autorevoli esponenti delle religioni monoteistiche, come l’Imam della Grande Moschea di Roma, Saleh Ramadan Elsayed, la presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruth Dureghello, e il Custode del Sacro Convento di Assisi, padre Mauro Gambetti, alla firma erano presenti anche giornalisti ed esponenti del mondo della comunicazione: Roberto Natale, coordinatore del Comitato scientifico di Articolo 21, il prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, Paolo Ruffini, il direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, il direttore della Sala Stampa della Basilica di San Francesco d’Assisi, Padre Enzo Fortunato, il responsabile comunicazione della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, Gian Mario Gillio, il presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti, il segretario generale della Società San Paolo, Don Stefano Stimamiglio, Paola Spadari, presidente Odg Lazio.
Al decalogo si accompagna il volume Carta di Assisi. Le parole non sono pietre, edito da San Paolo, con il commento di autorevoli esponenti del mondo dell’informazione, da Lucia Annunziata a Sergio Zavoli, da Aldo Cazzullo allo stesso Ruffini. Testi concepiti e redatti da “uomini che provengono da culture professionali e religiose assai diverse”, ha osservato il presidente della Fnsi, ma cui sta a cuore il “rispetto della dignità della persona, anche di quella più distante”. In un panorama sociale e mediatico che troppo facilmente usa le parole come pietre per scagliarle contro qualcuno, per dividere e costruire muri e non ponti, come invece ha auspicato più volte Papa Francesco e con lui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
A citare la massima autorità dello Stato è il direttore della Civiltà Cattolica, che ha ricordato il suo appello alle istituzioni a non farsi contagiare dai “bacilli – quasi si trattasse di una peste, di un virus – della divisione, del pregiudizio, della partigianeria, dell’ostilità preconcetta che puntano a sottoporre i nostri concittadini a tensione continua”. La logica della polarizzazione dei conflitti, della contrapposizione continua e dei muri è, infatti, qualcosa che non affligge soltanto chi fa informazione. I semplici cittadini hanno infatti meno strumenti degli addetti ai lavori per decifrare i codici di un dibattito pubblico sempre più deteriorato e rissoso.
“La forza di questa carta è che viene dal basso, dagli operatori”, ha ribadito Ruffini, e che è “consegnata a tutti perché tutti oggi facciamo comunicazione, anche chi non lo fa di professione come noi”. Soprattutto per via dell’avvento del digitale e della rete che, ha aggiunto, “è nata per unire e non per dividere”. Occorre “restituire alle parole il loro vero valore”. Tutti, ha concluso il responsabile della comunicazione vaticana, “dovremmo sottoscrivere questa Carta come fosse il giuramento di Ippocrate del mondo contemporaneo”.
I principi contenuti nella Carta, che sarà portata anche nel Cortile di Francesco a settembre ad Assisi, sono semplici ma non banali: dare voce ai più deboli, non mistificare i dati, diventare “scorta mediatica della verità”, vivere il web come “bene comune”, connettere le persone e non temere le rettifiche quando si sbaglia o ci si rende conto di aver diffuso informazioni errate.