di Stefano Pasta e Iole Galbusera
Ci sembra impossibile scrivere un articolo sull’Information Literacy senza pensare a questi giorni segnati dall’emergenza per il diffondersi del Covid-19. Accanto all’epidemia, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha evocato il pericolo di una infodemia, ossia della diffusione incontrollata di notizie non verificate e false, e ha cercato di chiarire che occorre fidarsi solo dell’informazione istituzionale. Però non ha potuto evitare alcuni effetti di massa e nemmeno controllare adeguatamente la narrazione (sia istituzionale che mediatica) sul Covid-19.
Ancora una volta vediamo come l’informazione – in un momento in cui la fatica nasce dal rimanere davanti all’ignoto, al virus non noto e alle previsioni difficili da formulare – gioca un ruolo fondamentale. L’allarme genera panico, e quindi accaparramenti di cibo e amuchina, scelte egoistiche e razziste (prime vittime i cinesi, tra l’altro finora i più solidali verso l’Italia). Intanto registriamo due tendenze, all’apparenza paradossalmente opposte ma che ben descrivono l’attuale regime informativo. Da un lato, l’esperto (il medico in primis) torna al centro della presenza mediatica mainstream e della politica, mettendo le proprie competenze a disposizione dell’interesse collettivo. Dall’altro lato, non si contano le fake news o informazioni distorte sul tema, in primis con messaggi vocali su WhatsApp: dall’acqua calda che purificherebbe dal virus al test dell’autodiagnosi, dalle scarpe da cambiare prima di entrare in casa al vocale riservato del cugino della collega della cognata.
Quindi: magari abbiamo ottenuto che la gente non prevenisse il virus con i gargarismi di acqua calda, né tagliandosi la barba (altra fake diffusa), ma abbiamo ottenuto anche che le grandi piattaforme si impegnassero a dare risalto prioritariamente ai siti ufficiali. Ma la gestione dell’informazione al tempo del Covid-19 ci conferma l’esigenza di Information Literacy.
In realtà, da tempo, il cambiamento in atto nell’ecosistema di produzione e distribuzione di informazioni interroga l’educazione rispetto alle competenze media-educative a cui la scuola deve formare. È quello che hanno fatto in questi giorni di didattica a distanza gli studenti di una scuola media milanese, la Casa del Sole, con la loro professoressa di italiano: hanno cercato delle fake news sul Covid-19 (rendendosi conto che ad alcune avevano creduto), le hanno analizzate con metodi classici di critica del testo, si sono interrogati sulle modalità di diffusione e su come avrebbero potuto riconoscerne la falsità, si sono domandati per quali interessi erano state create e cosa avrebbero potuto fare per non contribuire alla diffusione.
L’analisi delle fake fatta dalla classe della Casa del Sole è un processo di alfabetizzazione alle logiche del digitale che il Curriculum diffuso dal MIUR nel 2018 pone come primo passaggio dell’Educazione Civica Digitale (qui il nostro articolo di presentazione del sillabo). Con il Web 2.0, infatti, la Rete partecipativa segnata dai social network e dalla co-autorialità, allarga l’obiettivo dell’educazione all’informazione (Information literacy): allenare il pensiero critico è centrale. Ma non basta: se al tempo dei media di massa, essere capaci di leggere i messaggi criticamente significava garantirsi che le persone avessero le risorse sufficienti a non farsi condizionare a produrre un pensiero proprio in risposta al rischio del pensiero unico, oggi questo non è più sufficiente perché rappresenta solo la metà dell’opera. Non basta più educare lo spettatore, occorre anche educare il produttore che ogni spettatore è diventato grazie allo smartphone che ha in mano. Questo significa che insieme al pensiero critico occorre sviluppare anche la responsabilità.
In quest’ottica l’educazione all’informazione non va quindi intesa solo come un tema di sviluppo di competenze tecniche per la ricerca, raccolta, utilizzo e conservazione di informazioni, ma come comprensione di un profondo cambiamento in atto nell’ecosistema di produzione e distribuzione di informazioni, quella che Floridi ha chiamato, appunto, «infosfera».
Tra le competenze di base dell’educazione all’informazione, essenziali per ogni aspetto della vita (scolastica), rientrano la capacità di cercare, decodificare e utilizzare consapevolmente e criticamente l’informazione. Ecco come le definisce il Sillabo di Educazione Civica Digitale del MIUR:
- Cercare: una buona strategia di fronteggiamento dell’overload informativo è, innanzitutto, riconoscere il ruolo delle fonti, selezionarle e archiviare quelle riconosciute valide per i canoni di autorialità (credenziali, qualifiche, contatti degli autori)
- Decodificare: le informazioni così raccolte andranno poi sottoposte a ulteriore valutazione (fact checking o data checking) per verificare la veridicità delle notizie e dei dati (attualità, rilevanza, precisione, scopo, obiettività e disponibilità per il target di riferimento)
- Utilizzare: da ultimo, è fondamentale imparare a condividere forme di cittadinanza mediatica competente, impegnata e ben informata (web journalism, digital storytelling e altri user generated content).