di S. Marrandino (Media Education Expert presso Future Education Modena serena.marrandino97@gmail.com) e G. Bellotto (Presidente del Centro Universitario Teatrale Insubria gbellotto@studenti.uninsubria.it)
Nel corso degli anni la letteratura pedagogica ha più volte fatto emergere il filo rosso che lega educazione e teatro.
Per secoli il teatro è stato inteso come uno strumento capace di entrare nei contesti educativi con obiettivi formativi. In termini ideologici, politici, sacri e didascalici esso si costituisce come un veicolo attraverso cui comunicare messaggi con narrazioni emozionanti e coinvolgenti.
Tuttavia, sarebbe un errore considerare il rapporto tra educazione e teatro solo in termini strumentali e contenutistici. Portare il teatro nella riflessione pedagogica non significa solo accompagnare la propria classe a vedere uno spettacolo o organizzare una rappresentazione teatrale svolta direttamente da ragazzi e ragazze, ma rileggere l’educazione in base alle categorie che la teatralità ci offre. Nelle riflessioni di Riccardo Massa, il teatro non è solo una tra le tante possibilità comunicative ed espressive, ma una lente che permette a docenti e educatori di ripensare la complessità del dispositivo pedagogico. Le caratteristiche intrinseche del teatro e della performance (la scena, i dialoghi, le maschere, i ruoli, la sceneggiatura e la scenografia ecc) permettono di osservare e decostruire l’esperienza educativa, per riconoscerne gli elementi fondativi e ricostruirla con più consapevolezza.
Il teatro risulta utile per tematizzare l’antinomia tra reale e fittizio, che caratterizza sia la scena educativa, sia quella scenica. Quando gli spettatori prendono posto all’interno del teatro sanno che ciò che vedranno è una rappresentazione fittizia, che può imitare la realtà o distaccarsene completamente, ma non può sovrapporsi perfettamente ad essa. Il fenomeno teatrale si caratterizza per una volontaria sospensione dell’incredulità da parte del pubblico[1] che accetta la finzione scenica in modo non dissimile da quello descritto dallo storico e linguista Johan Huizinga in riferimento al paradigma del gioco. Questa finzione mantiene però un collegamento emotivo con la realtà: gli spettatori si emozionano, si schierano, si preoccupano e si lasciano trasportare dal flusso che il regista e gli attori mettono in scena[2]. Lo stesso accade nei contesti educativi: sia il professionista, sia l’educando si rendono conto della differenza tra ciò che accade nello spazio destinato alla formazione e ciò che fa parte della vita quotidiana. L’educazione si distingue dalla vita di tutti i giorni poiché permette agli individui di sperimentare e sperimentarsi all’interno di contesti protetti. Questa distinzione non è soltanto filosofica, ma anche pratica: il cancello della scuola delimita spazialmente i confini dello spazio dedicato all’educazione, il suono della campanella genera una ritualità non troppo differente dallo spegnimento delle luci e dall’apertura del sipario.
È possibile ampliare la riflessione partendo dal teatro fino ad arrivare a tutte le arti performative. Due esempi sono la giocoleria e la magia. La prima, intesa sia come giocoleria funzionale per migliorare motivazione e motricità, sia come abilità di armonizzare movimenti e oggetti, di scoprire il potenziale nascosto delle cose e capacità di osservare il mondo in termini ludici, divergenti e creativi. La seconda, per il valore pedagogico dello stupore e della creazione di atmosfere basate sulla curiosità e sulla scoperta.
Nonostante questi approcci continuino ad aprire ampi spazi di riflessione pedagogica, oggi risulta necessario rileggere il rapporto tra scienze dell’educazione, arti performative e teatro alla luce dei processi di mediatizzazione e digitalizzazione che hanno interessato l’ambito didattico-educativo e l’intera società. Cosa accade quando la formazione non avviene solo in presenza? Cosa può insegnarci il teatro sull’utilizzo dei media in classe? In che modo le arti performative possono aiutare i professionisti dell’educazione a gestire interazioni educative che ibridano online e offline? Cosa accade agli elementi fondamentali di teatro e di educazione quando ci troviamo in un setting digitale?
Partendo da queste domande ha preso avvio il progetto Digital Theatre, proposto dall’associazione studentesca Centro Universitario Teatrale Insubria dell’omonimo Ateneo di Varese/Como.
L’interesse per il teatro da remoto nasce da una ricerca artistica e pedagogica condotta nel corso dell’Anno Accademico 2020-21 attraverso un Campus Teatrale Digitale composto di un convegno teorico multidisciplinare intorno ai temi del Virus biologico e le sue interrelazioni con il Virus digitale e di un seminario di pratica teatrale online tenuto dal regista e formatore Raul Iaiza (Accademia dei Filodrammatici, Milano). Questo particolare laboratorio teatrale ha portato alla produzione di uno spettacolo dal titolo Inconcepibile che nel processo artistico è stato definito “teatro online / on-time”, ovvero distinto dal cinema o da altri formati di produzione audio-video per il fatto che se il fenomeno spettacolo non si svolge in uno spazio univoco e condiviso, tale è invece la dimensione temporale in cui gli attori sono in sincronia con gli spettatori.
Gli attori e le attrici hanno sperimentato un nuovo modo di agire nelle piattaforme di videoconferenza, passando da uno sguardo utilitaristico e legato al loro utilizzo dello strumento per la didattica a distanza di cui usufruivano in quanto studenti universitari ad uno creativo ed espressivo. Sfruttando le affordances che la piattaforma mette a disposizione i partecipanti (provenienti da diversi corsi di laurea, atenei e background formativi) hanno preparato e messo in scena uno spettacolo che integrava differenti linguaggi mediali: le immagini, il videoclip, la musica e il video live. All’interno del proprio rettangolo ciascuno ha fatto esperienza dell’antinomia tra presenza e assenza, che ha caratterizzato le modalità comunicative e formative dei mesi pandemici. Ne è emersa una maggior consapevolezza di sé, del rapporto con la telecamera, degli oggetti, dello spazio reale e virtuale. Queste riflessioni possono essere sintetizzate in un unico movimento: il passaggio da essere fruitori delle piattaforme digitali ad essere creatori e creativi della propria esperienza digitale, da spettatori a spett-attori[3].
Recuperando le esperienze e la letteratura pedagogica citata in precedenza e sulla scia del seminario di teatro digitale, il Centro Universitario Teatrale dell’Università dell’Insubria ha inaugurato quindi un Digital Theatre Lab, che si propone di unire esperienze performative, esperienze educative e ambienti digitali.
La proposta di un laboratorio permanente per la ricerca sul teatro da remoto nell’ambito del progetto Digital Theatre si pone due obiettivi fondamentali: da un lato, dare avvio ad una ricerca artistico-pedagogica in cui i professionisti dell’educazione possano aprire spazi di riflessione sul proprio modo di abitare gli spazi digitali e non digitali; dall’altro, costruire un lavoro teatrale online / on-time secondo questa metodologia di lavoro meticcia tra presenza e assenze, per entrare nelle classi con uno spettacolo formalizzato e far vivere agli studenti l’esperienza del teatro digitale. L’obiettivo ultimo di questa proposta artistico-didattica è mettere in discussione la separazione tra reale e virtuale, come stimolo a ripensare artisticamente gli ambienti digitali che abitiamo quotidianamente.
Digital Theatre Lab non si è un percorso di formazione lineare, ma una comunità di pratica (o una community, per dirla in termini più digitali) costruita su un continuo e progressivo scambio di intuizioni performative, scintille poetiche, illusioni digitali e riflessioni pedagogiche per cogliere le suggestioni formative che il digitale offre.
Tu hai mai pensato di poter fare teatro online? E di utilizzare il teatro online per formarti e aumentare la tua consapevolezza rispetto agli ambienti digitali?
L’”Incontro 0” della comunità di pratica del Digital Theatre Lab si terrà sabato 18 giugno alle ore 10.00, online sulla piattaforma Zoom.
Per partecipare o ricevere maggiori informazioni, ti invitiamo a contattare info@cutinsubria.com .
Bibliografia
- R. Massa, La peste, il teatro, l’educazione, A cura di Francesca Antonacci e Francesco Cappa, FrancoAngeli, Milano, 2012
- J. Huizinga, Homo ludens (traduzione di Corinna von Schendel), Il Saggiatore, Milano, 1967
- Vincenzo Di Benedetto ed Enrico Medda, La tragedia sulla scena, Einaudi, 2002
- A. Boal, Il teatro degli oppressi.Teoria e tecnica del teatro, La Meridiana, Molfetta, 2011
- A. Boal, Giochi per attori e non attori. Primo volume, Dino Audino, Roma, 2020
- R. Iaiza, VirtualiVirtùVirali/Un progetto di teatro in vita, Note della regia per l’avvio di progetto, inedito, marzo 2021
Teatrografia
- M. Frayn, Spettattori (Look Look), regia di A. Corsini, Roma, Teatro Vittoria, 5 gennaio 1990. prima mondiale
- scrittura scenica a cura del Centro Universitario Teatrale Insubria, Inconcepibile, regia di R. Iaiza, teatro online / on-time, 20 dicembre 2021
[1] Samuel Taylor Coleridge, Biographia literaria – capitolo XIV: that willing suspension of disbelief for the moment, which constitutes poetic faith
[2] Il rapporto tra finzione scenica e realtà va oltre la mimesi che il teatro in quanto arte politica opera sul vero; è infatti altrettanto presente un’influenza del finto sul reale. Uno degli esempi più antichi, estremi e chiari di questo rapporto di co-dipendenza è quanto si tramanda riguardo al dramma storico “La presa di Mileto” del tregediografo greco Frinico, la quale nel 494 a.C. ebbe un impatto tanto profondo sul pubblico di Atene da provocare nella realtà reazioni come pianti, svenimenti e persino aborti spontanei.
[3] Il concetto di spett-attore, derivato dal Teatro dell’Oppresso di Augusto Boal che lo intendeva come metodo per rendere attivo il pubblico e reattivo all’oppressione reale attraverso l’esperienza dell’oppressione rappresentata in scena, viene poi declinato in numerosissime varianti derivanti da differenti ricerche artistiche che mantengono però questo tratto fondamentale: il ribaltamento dei ruoli attore-spettatore, come avviene nel testo Look Look di Michael Frayn del 1990.