Cyberstupidity ed estremismo online: un percorso per i docenti della scuola secondaria

di Iole Galbusera

Cyberstupidity ed estremismo online: un percorso per i docenti della scuola secondaria



Non basta più educare lo spettatore, occorre anche educare il produttore che ogni spettatore è diventato grazie allo smartphone che si porta in tasca. Fare esercizio di pensiero critico, sviluppando responsabilità e passando dall’essere spettatore a soccorritore. Contrastare la normalizzazione del razzismo e la diffusione dell’odio online. Come (s)parlare nel Web.
Sono alcuni dei temi affrontati nel pomeriggio di formazione per docenti e presidi delle secondarie di II grado della provincia di Milano tenuto dal Cremit dell’Università Cattolica il 10 ottobre 2018, presso l’IISS Oriani Mazzini. Titolo dell’incontro: “Cyberbullismo” e “l’estremismo nel Web”. Dunque due forme dello spettro della cyberstupidity, spesso al centro delle cronache, che possono essere affrontate da prospettive diverse: il Cremit ha scelto di approcciarle come sfida educativa, come questione cruciale che interroga la scuola (prevenzione e contrasto allo stesso tempo), in linea con il recente Curriculum di Educazione Civica Digitale emanato dal Miur nel gennaio 2018.

L’intervento del 10 ottobre è il secondo appuntamento del progetto formativo “Educare alle differenze nell’ottica del contrasto ad ogni forma di estremismo violento”, voluto dalla Regione Lombardia e dall’Ufficio Scolastico Regionale, che ha incaricato l’IISS Oriani Mazzini della progettazione e realizzazione. Il corso è stato aperto dalla prestigiosa videolezione “Formare l’umano nell’uomo a scuola: un’esigenza, una sfida” di Philippe Meirieu, uno dei più noti pedagogisti francesi. Se il secondo incontro ha trattato i temi della media education, i prossimi parleranno di bande giovanili, violenza di genere, l’educazione alle differenze religiose e la prevenzione dell’estremismo, le risorse del territorio a disposizione delle scuole.

Come tipico dell’impostazione del Cremit, la formazione ha alternato un momento di lezione frontale e una parte laboratoriale a gruppi.

Pier Cesare Rivoltella, presidente del Cremit e docente di Didattica generale e Tecnologie dell’Istruzione, ha affrontato il tema della cyberstupidity a partire dal concetto che Prensky rilancia nel 2010.

Rivoltella, membro del Tavolo tecnico-scientifico per il contrasto al bullismo e al cyberbullismo dell’Usr Lombardia, ha affermato: «La risposta dell’educazione a questo stato di cose è la consapevolezza che allenare il pensiero critico non basta più. Se al tempo dei media di massa, la capacità di “leggere i messaggi” criticamente significava garantirsi che le persone avessero le risorse sufficienti a non farsi condizionare, a produrre un “pensiero proprio” in risposta al rischio del “pensiero unico”, oggi questo non è più sufficiente. Non basta più educare lo spettatore, occorre anche educare il produttore che ogni spettatore è diventato grazie allo smartphone che si porta in tasca. Questo significa che insieme al pensiero critico occorre sviluppare anche la responsabilità».

Del resto, secondo i dati EU Kids Online 2017, il 31% dei ragazzi di 11-17 anni afferma di aver visto messaggi d’odio diretto verso individui o gruppi, di fronte ai quali il sentimento più diffuso è la tristezza (52%), seguita dal disprezzo (36%), dalla rabbia (35%) e della vergogna (20%). Il sistema educativo è chiamato in causa: insegnanti ed educatori sono interrogati dal fatto che il 58% dei ragazzi intervistati afferma di non aver fatto nulla quando ha visto messaggi d’odio o discriminatori.

Stefano Pasta, assegnista di ricerca presso il Cremit e membro del tavolo tecnico dell’Usr che ha realizzato il “Corso di formazione per dirigenti e docenti sull’Educazione alle differenze nell’ottica della lotta ad ogni forma di estremismo violento” a cui è seguito il progetto formativo dell’Oriani-Mazzini, ha da un lato svolto un’analisi delle caratteristiche dell’ambiente digitale che possono favorire le diverse forme di cyberstupidity (l’hate speech in primis) e dall’altro ha evidenziato come alcuni fenomeni – la disinibizione tossica, la post-verità, la deresponsabilizzazione dell’agire in Rete e la caduta di tabù sociali che “libera” parole e dottrine d’odio – influenzino l’evoluzione dei Razzismi 2.0.

Nel suo intervento si è parlato, dunque, di velocità 2.0 come potenziale alleata dei comportamenti scorretti online, banalizzazione dei contenuti, ironia, autorialità delle fonti e fake news, analfabetismo emotivo, desiderio di popolarità nel Web, spirale del silenzio e conformismo, meme e immagini, retorica dell’anonimato, polarizzazione delle posizioni e personalizzazione degli attacchi.
«Quanto ai contenuti – ha detto Pasta – emerge una tendenza specifica dei razzismi 2.0. Se gli studi degli ultimi decenni hanno sottolineato il passaggio dal razzismo manifesto su base biologica ai razzismi latenti con logiche differenzialiste e culturaliste , ora nell’ambiente digitale va in scena un continuo rimando tra i cosiddetti razzismi impliciti e quelli espliciti, tra link, “mi piace”, evocazioni e condivisioni. Anche per alcune modalità tipiche della cultura convergente e della partecipazione sociale nel Web 2.0 risulta difficile, e in alcuni casi sterile, una divisione netta, portando invece a teorizzare una stagione dei razzismi espliciti banalizzati. La banalizzazione delle tesi razziste e la deresponsabilizzazione dello stare in Rete sono infatti le vie da cui passa un recupero implicito dell’istanza biologica, ovvero dell’emblema del razzismo più classico, come un meme che accosta uno scimpanzé a una persona di colore. Tale ritorno avviene su basi non scientifiche, svuotate di senso, ma paradossalmente accettate e interiorizzate. Un concetto di razza sconfitto dalla scienza, quindi, ma accettato socialmente e dalla nostra cultura popolare, dal senso comune, che affiora nella coscienza collettiva anche in assenza di credibilità, magari con una battuta che si pretende non sia presa sul serio».

Nella seconda parte del pomeriggio, invece, i conduttori di laboratorio – Alessandra Carenzio, Enrica Bricchetto, Michele Marangi e Eleonora Mazzotti – hanno accompagnato i corsisti nell’analisi dei commenti a un video pubblicato da un’ong su Facebook, che contiene molti esempi di hate speech e cyberstupidity. Lo strumento è stato una griglia strutturata finalizzata all’analisi di scambi comunicativi nei social, nel caso specifico la griglia è stata usata su un caso selezionato (un video in Facebook sul tema dell’hate speech), uno strumento didattico da portare in classe. Infine, con i docenti si è avviata il lancio di un’attività didattica sulla base del contesto e dei bisogni dei propri studenti, a partire anche dal “Manifesto della comunicazione non ostile” di Parole O_Stili.

Per continuare a riflettere su questi temi si segnalano due appuntamenti a Torino, organizzati dal Fieri (Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche sull’Immigrazione), in cui interviene il Cremit
– Il seminario “Razzismi 2.0. Nuove forme di odio on-line e nelle pratiche sociali” (11 ottobre 2018, ore 16) al Campus Luigi Einaudi.

– Il dibattito al cineteatro Baretti dopo la visione del film “Judgement in Hungary” all’interno del festival “Crocevia di sguardi” (11 ottobre 2018, ore 21) (http://croceviadisguardi.fieri.it/appuntamento/judgment-in-hungary/)

Il libro:
Stefano Pasta, Razzismi 2.0. Analisi socio-educativa dell’odio online, Scholé-Morcelliana, Brescia, 2018.

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