di Matteo Rigamonti, giornalista e studente del Master in Media Education Manager (Mem)
(Primo articolo di tre dedicati all’analisi della dieta mediale. Leggi qui il secondo e qui il terzo.)
Come cambiano le abitudini dei lettori e fruitori di notizie on e off line? Dove si spostano i consumi con l’avvento delle nuove tecnologie e piattaforme? Ad offrire una sintetica ed efficiente panoramica globale è ancora una volta, e come ogni anno, il Reuters Institute Digital News Report, una tra le più autorevoli ricerche a cura del Reuters Institute for the Study of Journalism e dell’Università di Oxford. Lo studio, peraltro, affronta anche alcune rilevanti evidenze nella dieta mediale, tematica già affrontata da Cremit per quanto concerne bambini e ragazzi, anche grazie all’indagine DISCUSS (DIgital Screens ConsUmption Survey System), che mira a raccogliere dati su tutto il territorio nazionale attraverso una survey costruita secondo rigorosi criteri scientifici.
L’edizione 2019 (su dati 2018) del Digital News Report di Reuters Institute ha preso in esame un campione di oltre 75mila persone in 38 diversi Paesi (di cui 24 in Europa) per una survey che si integra con l’analisi qualitativa e comparata dei principali studi di settore nei rispettivi mercati di riferimento.
Secondo il Reuters Institute Digital News Report 2019, dunque, il 2018 è stato l’anno del populismo, dell’instabilità politica ed economica e delle preoccupazioni per l’impatto dei giganti del web e hi-tech sulla società e la vita di tutti i giorni. A livello globale le principali evidenze emerse dallo studio sono rappresentate da:
- – un leggero incremento nel numero di persone disposte a sottoscrivere abbonamenti online per le news;
- – anche nei paesi dove la disponibilità a pagare per l’informazione online è maggiore, la stragrande maggioranza delle persone sottoscrive un singolo abbonamento, suggerendo una dinamica di tipo “winner takes all” che privilegia i brand più forti e autorevoli sul mercato delle news;
- – molte persone, soprattutto i più giovani, preferiscono destinare il loro limitato budget ad abbonamenti per piattaforme di entertainment come Netflix o Spotify;
- – diminuisce il tempo trascorso su Facebook, cresce quello su WhatsApp (dove sempre più utenti condividono le news) e Instagram;
- – cresce il numero di utenti che abbandonano definitivamente Facebook, ma sul social fondato da Mark Zuckerberg continuano a funzionare, soprattutto nei paesi meno democratici, i gruppi chiusi come ambito dove discutere di news e politica;
- – mentre prosegue la lotta alle fake news, la fiducia nelle notizie prodotte dai giornalisti ha perso due punti percentuali raggiungendo un misero 42% in media.
Venendo al Belpaese, la prima evidenza di analisi della dieta mediale che riguarda l’Italia è che Internet è a disposizione del 92% della popolazione, un dato in linea con le moderne democrazie europee, inferiore sì al tasso di penetrazione della rete, per esempio, nel Regno Unito (95%), Francia (93%) e Germania (96%), ma comunque migliore di altri Paesi Ue ed extra europei. Il benchmark da questo punto di vista rimangono i Paesi nordici (Danimarca, Norvegia, Svezia) dove le percentuali sfiorano il 100%.
Mentre negli Stati Uniti il cosiddetto “effetto Trump” ha fatto schizzare gli abbonamenti digitali dal 10 al 16%, in Svezia e Norvegia si incontrano le più alte percentuali di sottoscrittori di abbonamenti digitali (rispettivamente 27% e 34%) anche perché qui gli editori hanno scommesso con forza sull’online a pagamento. Significativo anche il dato degli abbonati solo digitali in questi due Paesi (14/15%), cioè quei lettori che scelgono di pagare per l’online senza aver sottoscritto un pacchetto carta + digitale o aver ricevuto abbonamenti omaggio e/o promozionali. Questa percentuale, che misura chi è effettivamente disposto a pagare per l’online, in Italia si ferma al 3%.
Secondo il Reuters Institute Digital News Report 2019, la percentuale di under 45 generalmente disponibile a sottoscrivere abbonamenti digitali è pari al 37% nel caso del video (Netflix, Amazon Prime, ecc…), ma scende al 15% per la musica (Spotify, Apple Music…) e al 7% quando si parla di abbonamenti a testate giornalistiche native digitali o alle versioni online dei corrispettivi cartacei. Si tratta di valori medi globali ma che riflettono nelle proporzioni anche la situazione del mercato italiano.
In generale, sempre a livello globale, ormai lo smartphone è diventato il primo strumento per informarsi al mattino, scelto dal 45 % degli under 25, dal 39% di chi ha un età compresa tra i 25 e i 34, dal 19% degli over 35 che, invece, preferiscono la televisione come prima piattaforma cui accedere nell’ambito della loro dieta mediale nel 30% dei casi. La carta stampata rappresenta il primo strumento dove informarsi al mattino per il 4% degli under 35 e per il 9% degli over 35.
Tra quanti in Italia utilizzano lo smartphone come primo strumento per informarsi al mattino, più della metà (52%) lo fanno attraverso social network o app di messaggistica. Qui Facebook è scelto come prima fonte dal 33%, WhatsApp dall’8%, Instagram dal 5%. Solo il 19% di chi si informa via smartphone accede a un sito di news o alla sua app, l’11% si affida ad alert e notifiche, l’11% ad aggregatori di notizie come Google News, il 3% all’email.
(Primo articolo di tre dedicati all’analisi della dieta mediale)