di Valentina Piccoli, Studentessa della Laurea magistrale in Media Education, Università Cattolica
“Una laurea in Scienze dell’educazione, buone opportunità lavorative e ora ti metti dietro un computer? Ma a te non piacevano i bambini?”
Questa è solo una delle tante affermazioni che la gente che mi conosce mi fa riguardo alla mia scelta di specializzazione universitaria. Infatti, sono ormai alla fine di un percorso di laurea magistrale in Media Education.
Quello che gli altri non sanno però è di cosa si stia effettivamente parlando.
Fare Media Education non significa essere dell’idea che un maestro, un educatore debba essere sostituito da una macchina. La relazione educativa che si instaura in contesti formali e non, non può e non deve assolutamente passare in secondo piano.
Media Education in che senso?
In Italia si inizia a parlare di Media Education negli anni ’30- ’40 anche se, già negli anni ’20- ’30 si hanno i primi accenni in Francia e Inghilterra. Secondo la periodizzazione dei media operata da Masterman troviamo:
• Anni ’30- ’40 approccio incoculatorio: vede i media come agenti di declino culturale;
• Anni ’50- ’60 Cultural studies e arti popolari: valorizzati i film d’autore, persiste la differenza tra cultura alta e cultura bassa;
• Anni ’70 Screen generation: demistificazione dei media, diventano sistemi simbolici e rappresentazionali che veicolano linguaggi e culture;
• Oggi la New media education: ridefinizione di ruoli e significati nei processi educativi.
Quelle che nascono come tecnologie di comunicazione di massa, grazie alla digitalizzazione, si trasformano in media sempre più portabili e personalizzabili, multitasking, autoriali, in grado di riconfigurare spazi e dare una nuova scansione temporale.
Il DigitusLab come motore di innovazione
La scelta del tirocinio universitario è frutto di un lungo lavoro di riflessione sul proprio percorso di studi ma soprattutto sulle pratiche che si vogliono far proprie in un futuro contesto lavorativo. Grazie alla collaborazione che il CREMIT ha con Stripes, ho avuto modo di vivere una breve ma intensa esperienza presso il DigitusLab. È il nuovo Centro internazionale di ricerca sulla robotica educativa e le tecnologie digitali creato a Milano che promuove la contaminazione e la collaborazione tra realtà del terzo settore e mondo della ricerca scientifica e tecnologica. Luogo in cui pedagogia e tecnologie digitali si incontrano per dare vita a progetti rivolti a bambini e adolescenti, offrendo al mondo della scuola e alle famiglie spazi, laboratori, esperienze e nuovi strumenti.
La costante supervisione della mia tutor e l’affiancamento di tutto un team di figure professionali che mi hanno seguita passo passo mi ha permesso di inoltrarmi in un mondo a me finora sconosciuto. L’osservazione sul campo mi ha insegnato a capire il linguaggio misterioso dei robot. Poter toccare con mano e sperimentare le diverse funzionalità di ogni robot è stato il modo più efficace per comprendere quanto importante possano essere nel campo dell’educazione.
Cosa c’è di educativo nella robotica e nelle tecnologie digitali?
È questa la vera domanda che in molti, anche nel campo della formazione, si pongono e che, io per prima, ho rivolto alla mia tutor di tirocinio.
Ma, come ho avuto modo di sperimentare, l’uso di robot in contesti educativi non è altro che un primo approccio coding. La conoscenza del robot infatti è soltanto il mezzo e non il fine della robotica educativa. Lo scopo nella didattica è quello di aiutare i bambini e i ragazzi a trovare un nuovo e stimolante metodo di apprendimento multidisciplinare.
La preoccupazione maggiore dei genitori o degli educatori è spesso quella di calcolare il tempo giusto da passare con le tecnologie. In realtà, il vero problema non è tanto il quanto ma il come si usano.
La predisposizione all’esplorazione, alla sperimentazione e alla scoperta sono caratteristiche fondamentali che muovono i bambini. Per questo, elementi caratterizzanti l’apprendimento e l’insegnamento con la robotica o le tecnologie educative sono:
• apprendimento per scoperta;
• esplorazione con problem solving;
• riconoscimento del ruolo positivo dell’errore.
Il docente assume il ruolo di coordinamento e guida ed è supportato nello stimolare lo sviluppo di competenze relazionali ed emotive, trasversali al curricolo, grazie al lavoro di gruppo, alle attività di peer education e alla collaborazione tra bambini e ragazzi. Questo ritengo che sia il grande potenziale delle tecnologie, l’elemento distintivo che dà valore aggiunto a strumenti che altrimenti sarebbero semplici “macchine”.
Tecnologie senza età
Con l’avvento della tecnologia touch le interfacce hanno superato le barriere linguistiche e di interazione. La dimensione della corporeità diventa sempre più importante poiché si fonde con lo strumento stesso. Questo dà la possibilità anche ai più piccoli di fare esperienza del digitale.
Infatti, se parliamo di media education non possiamo più non considerare le implicazioni sulla prima infanzia.
L’introduzione degli schermi digitali e l’appropriazione dei significati impliciti non può prescindere lo sviluppo cognitivo ed emotivo del bambino. Il suo approccio alle tecnologie sarà tanto più consapevole e responsabile quanto più di base avrà già chiari riferimenti spazio-temporali che li permettano di distinguere il reale dal virtuale.
In forza di queste riflessioni occorre considerare la media education, nel senso ampio del termine, come un’urgenza educativa e formativa. Non ci si può più permettere di rimandare, senza ovviamente dimenticare di sostenere l’agire educativo con pratiche riflessive adeguate. La dimensione preventiva è l’arma migliore con cui affrontare i sempre più rapidi e radicali cambiamenti di una società complessa come la nostra.