Il convegno residenziale “#Comunità Convergenti tenutosi ad Assisi dal 9 al 11 maggio è stato pensato come appuntamento per i direttori degli Uffici diocesani delle comunicazioni sociali, gli operatori e i professionisti del settore come momento di dialogo in preparazione alla 53ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali che ricorre domenica 2 giugno 2019. Al centro delle tavole rotonde, che hanno visto partecipi professionisti delle comunicazioni, studiosi e incaricati diocesani, c’è la volontà di promuovere una riflessione sul discorso di Papa Francesco: “Siamo membra gli uni degli altri” (Ef 4, 25). Dalle social network communities alla comunità umana. Il pontefice apre il suo messaggio invitando a riflettere “sul fondamento e l’importanza del nostro essere-in-relazione e a riscoprire, nella vastità delle sfide dell’attuale contesto comunicativo, il desiderio dell’uomo che non vuole rimanere nella propria solitudine”. Ed è proprio sulla spinta di queste considerazioni che si apre il dialogo sulle sfide che la Comunità cristiana deve affrontare rispetto alla pervasività della comunicazione digitale. d
Apre i lavori il sottosegretario e direttore dell’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali della CEI Don Ivan Maffeis che sottolinea sia la grande potenzialità della rete quale risorsa per promuovere l’incontro, sia la sua pericolosità quale luogo di forte esposizione alla disinformazione, alla distorsione dei saperi e delle relazioni interpersonali. Lontano dal voler demonizzare la rete, Maffeis vuole enfatizzare quanto la rete debba essere intesa come complementare all’incontro in carne ed ossa e non sostitutiva: “Se la rete è usata come prolungamento o attesa di tale incontro allora non tradisce sé stessa”. Citando Papa Benedetto XVI conferma quanto nella vastità di sfide che permeano il nostro contesto comunicativo l’uomo rimanga un essere relazione e nessun luogo è destinato a rimanere un nonluogo finchè ci sarà qualcuno disposto ad ascoltare e a prendersi cura dell’altro.
Dunque l’esortazione di Papa Francesco a passare dalle social network community, che “spesso rimangono solo aggregati di individui che si riconoscono intorno a interessi o argomenti caratterizzati da legami deboli”, alla comunità ovvero a forme di comunicazione incarnate. I temi affrontati dal messaggio del Papa sono inoltre declinati nel mondo dei comunicatori di professione: ovvero dei giornalisti. Rinomati professionisti quali Vincenzo Morgante (direttore di Tv2000) e Vincenzo Corrado (direttore agenzia SIR) affrontano il grande tema di cosa significhi comunicare in modo cristiano e che cosa implichi comunicare il cristianesimo nel mondo dei media digitali:
“Mossi dall’amore per il nostro mestiere e per la nostra Chiesa stiamo cercando di raccontare una temporaneità sempre più complessa e mutevole con uno sguardo che cerca di essere sereno, consapevole, che cerca di offrire soluzioni di creare ponti occasioni di dialogo, di confronto che cerca di stare nel mondo della comunicazione e dei media […] Cerchiamo di raccontare questa contemporaneità con i criteri professionali ma consapevoli di un’identità di cui siamo orgogliosi che non vogliamo imporre ma proporre” (Morgante).
La comunicazione cristiana oggi deve essere quindi una comunicazione sì consapevole della dimensione globale in cui siamo immersi, ma deve soprattutto essere una comunicazione attenta al territorio, che racconti della forza delle realtà locali, ovvero che metta in campo una informazione di prossimità. Questo tipo di informazione deve essere in grado, come afferma Corrado, di sostituire “i nodi tipici della rete con le immagini dei volti delle persone” e ricordare che essi sono in connessione gli uni agli altri sostituendo alla definizione di territorio come confine geografico quella di relazione umana che ha a cuore l’incontro e il contatto con l’altro.
Il giorno seguente, la parola è lasciata ad Antonello Soro e Mons. Giuseppe Baturi che grazie alla loro competenza da Garante per la protezione dei dati e da sottosegretario dell’Ufficio problemi giuridici CEi, entrano nel merito della privacy, “privacy e protezione dei dati personali sono due nomi diversi per tutelare la dignità della persona e devono iscriversi negli algoritmi per guidarne l’intelligenza”, Baturi concorda richiamando l’impegno personale al mantenimento della “buona fama” collegando l’ultimo decreto della Cei sulla buona fama e la riservatezza dei dati tenendo conto della “specifica autonomia della nostra confessione religiosa, i cui dati assumono rilievo pubblico”, senza dimenticare l’iscrizione nel registro dei Battesimi. Il discorso viene successivamente esteso da Grienti e Scalco che ci consegnano uno spaccato di privacy nei territori.
Particolare interesse per il Cremit ha il pomeriggio di venerdì: il primo panel vede chiamati Peverini (ricercatore LUISS) e Rita Marchetti (ricercatrice di Perugia) che partendo dal mondo accademico e della ricerca scientifica sottolineano quanto ormai le reti di comunicazione non siano più separate dagli utenti facendo decadere la metafora di un “virtuale” in contrapposizione al reale che prima era estremamente popolare. Inoltre, riprendendo Umberto Eco, Peverini sottolinea come la catena tra memorizzabile, memorabile e memorizzato si sia oggi spezzata. Se un tempo le culture avevano modo di memorizzare tramite una selezione di ciò che veniva ritenuto importante, ovvero ciò che è memorabile, e tramandare ciò che si è memorizzato, oggi invece tutto ciò che è memorizzabile può venire direttamente iscritta sul web. Questa possibilità fa saltare il filtro di valorizzazione sociale che prima selezionava ciò che era considerato pertinente in modo gerarchico, rischiando di considerate memorabile qualunque cosa per il solo fatto di essere stato registrato (memorizzato) e reso accessibile. In questo scenario, il concetto di “virale” non può essere sinonimo di memorabile, ma di visibile e dove tutto è sempre visibile e presente, paradossalmente, non c’è più memoria lasciando il campo aperto al fenomeno della post-verità e delle fake news affrontato da Stefano Pasta del Cremit nel secondo panel del pomeriggio.
Rita Marchetti riprende lo studio di Heidi Campbell riguardo media e religione e in particolare i tre profili di presenza online: i Portavoci digitali utilizza il web come ponte, gli Strateghi digitali caratterizzato da interconnessioni e Gli imprenditori digitali. Inoltre confuta una comune obiezione in riferimento alla presenza di sacerdoti sul Web: il tempo è speso online è sottratto al rapporto personale con le anime, la studiosa richiama come non vi sia una divisione tra reale e virtuale.
Nel secondo panel Stefano Pasta (Ricercatore Cremit Università Cattolica del Sacro Cuore) e Vania De Luca (Giornalista Rai News 24- Presidente UCSI) sottolineano l’importanza di non arrendersi alle insidie che la comunicazione della post-verità ci pone dinnanzi ma di diventare strumenti per non incappare nel fenomeno delle comunità difensive.
Il convegno si chiude sabato mattina con la condivisione di buone pratiche messe in campo da consacrati e laici nelle proprie realtà. I testimoni, oltre a presentare le azioni messe in campo nelle comunità territoriali, si interrogano e ci interrogano su come i media possano arricchire le esperienze di comunicazione e di comunità e possano sostenere la missione Cristiana di entrare in relazione, includere ed incontrare l’altro.
Per approfondimenti vi segnaliamo inoltre i seguenti link
- Ufficio Comunicazioni Sociali CEI, 6 Maggio, 2019 “Verso Assisi : comunità Fuori dai recinti”
- Ufficio Comunicazioni Sociali CEI, 14 Maggio, 2019 “Una ‘Community’ per tutti: Testimonianze da Assisi”
- CEI news, “Focus: #GMCS2019”
- Avvenire, 10 Maggio, 2019 “Media ‘Condividere’ la verità”
- Avvenire, 11 Maggio, 2019 “Preti sui social? Per raggiungere meglio le anime”
- Avvenire, 12 Maggio, 2019 “Bisogna abitare il web ma sporcandosi le mani”
- SIR, 10 Maggio, 2019 “Comunicazione: Pasta, imparare ad essere “cittadini digitali” per contrastare il “razzismo 2.0”
- Don Marco Rondonotti, 24 Gennaio, 2019 “GMCS 2019: Il Messaggio in occasione della giornata”