A lezione di Media Education con MeLab. La testimonianza dai banchi delle tutor del Cremit in Achille Ricci

di redazione

A lezione di Media Education con MeLab. La testimonianza dai banchi delle tutor del Cremit in Achille Ricci

A lezione di Media Education con MeLab. La testimonianza dai banchi delle tutor del Cremit in Achille Ricci


(Nell’immagine di copertina i bambini dell’Achille Ricci utilizzano un gioco tratto dal testo di Ivan Sciapeconi ed Eva Pigliapoco Missione spazio, Erickson Edizioni)

Terzo articolo di tre sulla collaborazione di Cremit con l’Istituto Achille Ricci.

di Matteo Rigamonti, giornalista e studente del Master in Media Education Manager (Mem)

È una “fortuna” poter insegnare Media Education in una scuola come l’Istituto Achille Ricci. Così Iole Galbusera, che qui insegna proprio Media Education alla scuola primaria nelle classi prima, terza e quinta, descrive l’esperienza del MeLab, il curricolo verticale di Media Education per l’anno scolastico 2019-2020 progettato insieme al Cremit, il Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media all’Innovazione e alla Tecnologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Una “fortuna” perché, spiega, “qui c’è la possibilità di dedicare un’intera materia a questo insegnamento”. Non soltanto, dunque, come di norma avviene in altre scuole, un singolo progetto o percorso di qualche ora al massimo.

Sono 428 le ore di Media Education erogate dall’Istituto in un anno con il supporto del Cremit e dei suoi docenti e tutor di cui: 2 ore a settimana per 25 settimane nella scuola dell’infanzia; 2 ore a settimana per ciascuna classe (e sono cinque, una per anno) della scuola primaria; due laboratori da 10 ore ciascuno per le due classi della scuola secondaria di primo grado. Senza contare le ore di formazione dedicate agli insegnanti per l’allineamento didattico su metodologie e standard del Cremit o quelle specifiche per i genitori al fine di promuovere continuità e comunanza di visione sulla pedagogia dei nuovi media in classe e fuori, nel contesto formale come in quello informale.

All’infanzia l’Achille Ricci (Istituto di cui vi abbiamo appena raccontato la storia centenaria) ha deciso di lavorare soprattutto sulla prima familiarità corretta con i media, puntando molto su un approccio ludico e creativo, attraverso attività in larga parte già familiari ai bambini. Come, per esempio, l’utilizzo di giochi e applicazioni legati alla percezione dello spazio, il ricorso a immagini e forme, l’animazione video; il tutto dosando sapientemente l’alternanza tra l’ambiente digitale e quello che circonda la classe, con l’orto e il bellissimo giardino della scuola.

Il podcast di Cremit con le interviste sulla Media Education in Achille Ricci

Alla primaria, invece, si vira gradualmente verso l’educazione a un corretto ed equilibrato consumo dei media di cui i bambini “più crescono e più diventano ghiotti”, come ogni giorno osserva Iole tra i banchi. Non sempre però, pur giocando ai videogiochi, guardando video o navigando su Internet i bambini sono in grado di comprendere a pieno le “dinamiche di produzione e fruizione che ad essi soggiaciono”, aggiunge l’insegnante. Ecco perché, in questa fase dello sviluppo evolutivo (ma come in tutte le altre, del resto, secondo quanto insegna il Cremit), è fondamentale l’attività di indagine e osservazione delle loro abitudini di consumo mediale e dei comportamenti in contesti digitali.

“Ogni classe ha il suo programma”, prosegue Iole, e “l’obiettivo finale del percorso è quello di realizzare un artefatto, digitale o analogico”, solitamente “legato alle materie che già studiano”. Senza mai tralasciare una serie di “focus” su particolari competenze che il Miur chiede di acquisire nell’ambito dell’educazione civica digitale, né la graduale introduzione a competenze informatiche e tecnologiche di base. Sempre stando attenti (e questo è un altro tratto che caratterizza il Cremit) a non sovraccaricare gli studenti.

“Con esperienze come la radio di classe, i videotutorial di benvenuto ai nuovi arrivati, la fotografia o il racconto, sempre attraverso lavori di gruppo e creativi, cerchiamo di rendere visibili agli occhi dei bambini e delle bambine le dinamiche profonde connesse all’utilizzo dei media”, conclude Iole. Perché è importante, quando si tratta di Media Education, “creare un ponte tra classe e vita di ogni giorno, tra ambito formale e informale”. È “bello vedere quando gli studenti, facendo qualcosa che interessa, sviluppano le competenze che vogliamo andare ad attivare in loro”.

Attività all’esterno in Achille Ricci

Un obiettivo per raggiungere il quale è “fondamentale il lavoro in equipe”, si inserisce Irene Mauro, da sei anni media educator. Pure lei, come Iole, oltre alla laurea in Pedagogia, ha vissuto un percorso di formazione in università che l’ha portata a incontrare il Cremit. È molto importante anche “saper ascoltare”, aggiunge: “io, per esempio, spesso parto da un progetto ma poi, il più delle volte, in classe, sono i miei allievi ad aiutarmi ad ampliare il programma con spunti e domande connesse al loro vissuto quotidiano e che portano da casa o dalle situazioni che attraversano”. È così, del resto, precisa la collega, che “si apre la possibilità di una meta-riflessione su quanto accade e si apprende” in contesti didattici o in situazioni di vita reale. Come nel caso di quando, ricorda, partendo da una domanda di una bambina sull’utilizzo di YouTube, “abbiamo dovuto affrontare il tema: cosa significa ‘troppo’? Cosa è il tempo e come usarlo?” Argomenti che hanno convinto Irene di un’ulteriore evidenza: “sta a noi media educator essere sempre aggiornati sui loro linguaggi e codici, sulle loro grammatiche e parole, perché il loro mondo è anche il nostro”.

Ciò diventa particolarmente rilevante con gli studenti delle medie. Ragazzi, adolescenti – con tutto ciò che questa entusiasmante fase della vita, non soltanto scolastica, comporta per loro – con i quali Cremit in Achille Ricci si pone l’obiettivo, seguendo una logica laboratoriale, di creare concretamente prodotti comunicativi, di imparare ad abitare contesti mediali e informativi praticabili nel quotidiano e di educare a un uso dei media digitali consapevole e responsabile, ma anche, laddove possibile, secondo modalità originali e creative.

“Uno degli aspetti più belli del nostro lavoro di ogni giorno”, confida Elena Valgolio, media ecucator e tutor che ha affiancato i docenti dell’Achille Ricci nello sviluppo e implementazione del curricolo, è “vedere quando gli studenti, bambini o ragazzi, attivano, non soltanto competenze digitali, ma anche processi comunicativi tra di loro”, tra pari. È quello che è successo, per esempio, ricorda Elena, quando con una classe della primaria “abbiamo affrontato il tema di che cosa significa cercare informazioni”. Suddivisi in vari gruppi, gli studenti di quarta hanno provato a rispondere, cominciando a “isolare parole chiave, esaminare le fonti, confrontare i dati raccolti”. Fino al punto, aggiunge, di “scrivere e documentare quanto raccolto con modalità quasi redazionali e giornalistiche”. Con piacevole sorpresa da parte sia dei tutor sia del corpo docente.

La serie sui nonni di Radio MeLab

Non sono stati da meno i progetti relativi all’analisi, con tanto di questionari, delle etichette dei cibi portati da casa o quello della web radio con i podcast su Spreaker. Qui gli studenti, fa sapere Elena, sono giunti fino ad “attivare insieme modalità di tutoraggio reciproco aiutandosi l’un l’altro in ciò su cui un compagno era meno forte, ognuno dando il proprio contributo relativamente a ciò in cui invece si sentiva più ferrato”. I bambini, oltre a dividersi le parti del lavoro negoziando chi fa cosa, a scrivere i testi per la registrazione e a registrarli, li hanno anche riascoltati insieme condividendo impressioni e spunti con maestre e tutor. Basterebbe ascoltarne un paio per rendersi conto quantomeno della sorprendente dimestichezza con il medium in questione nonché della profondità dei contenuti trattati: il “palinsesto” di RadioMelab spazia dalla lingua dei segni al libro di Star Wars, dai reportage storici sul teatro sumero alle inchieste scientifiche come “Operazione cellula”, dalle storie fantastiche alle interviste ai nonni. Anche questo è un ulteriore piccolo ma chiarissimo esempio, se ancora ce ne fosse bisogno, della potenzialità pedagogica ed educativa espressa dalla Media Education in ambito scolastico quando essa è ben progettata e integrata nell’organico delle lezioni più tradizionali.

Terzo articolo di tre sulla collaborazione di Cremit con l’Istituto Achille Ricci.

Leggi qui il primo: Cent’anni di sfide educative, dalle guerre al digitale. Così l’Achille Ricci rinnova la sua missione

Leggi qui il secondo: L’esperienza del MeLab: il caso della Media Education di Cremit in Achille Ricci

Leggi anche: MeLab, un curricolo di educazione civica digitale… tra tradizione e innovazione

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