di Giorgia Mauri, CREMIT
Osservando il fenomeno della didattica a distanza, sorge una domanda: la didattica rivolge lo sguardo allo studente manifestando la sua natura puerocentrica?
Con la DAD la dimensione relazionale ha lasciato spazio a una forma di centralità dell’insegnamento, del docente, abbandonando quella partecipazione totale, fisica, emotiva e appassionata che la connota.
Se “the medium is the massage”, come spiega Marshall Mc Luhan (1968), e la relazione tra individui si realizza nella protesizzazione dei media, perché la didattica a distanza ha generato un distanziamento relazionale tra gli individui coinvolti?
Tornando all’Istituto Achille Ricci di Milano, ho domandato agli studenti della mia classe terza della scuola secondaria di primo grado se fossero contenti di poter riprendere a svolgere un vita di comunità e di compagnia. Le loro risposte: “Prof. si stava meglio in DAD, mi alzavo alle 8 meno 5 e studiavo molto meno”. Ma siamo allora sicuri che questo periodo non abbia modificato la struttura profonda della relazione, sfiorando un annullamento del desiderio di questa stessa?
Si manifesta, così, una questione profondamente educativa: individuare i bisogni e attivare una strategia.
Il primo aspetto da osservare è il bisogno degli studenti. Ma come è possibile sviscerare un’urgenza sottesa e taciuta?
In primo luogo, è necessario comprendere cosa ha rappresentato per gli adolescenti la didattica a distanza in lockdown, durante il quale è mancata quella forma di relazione tra pari fondamentale per aprirsi al mondo esterno e conoscerne le dinamiche.
Entra così in gioco lo Storytelling, forma di narrazione vincente all’interno di quelli che John Potter e Julian McDougall (2017) chiamano “i terzi spazi”. Il social network TikTok può costituire quello “spazio di dialogo e apprendimento che unisce il formale e l’informale, alimentando lo sviluppo del pensiero critico dei nostri studenti e garantendo il ben-essere digitale” (Farinacci, Garbui, Migliavacca, 2021).
In una logica di anticipazione degli apprendimenti (Rivoltella, 2013), si è tentato di fornire agli studenti alcuni video-stimoli di Storytelling vari e originali, con l’intento di interrogare, analizzare e comprendere i linguaggi e le grammatiche che si generano sui social network in una prospettiva educativa.
Gli studenti hanno avuto la possibilità di scoprire forme nuove, inattese e creative di Digital Storytelling in linea con le possibilità di immaginazione messe in moto da TikTok e dall’universo audiovisivo, che, come spiega Simone Arcagni (2016), “si configura, non tanto come un genere o una forma di comunicazione, piuttosto come il linguaggio centrale della comunicazione digitale e connessa dell’infosfera contemporanea”.
I video-stimoli fanno scoprire nuove forme di DST esplorate attraverso lo stop motion, il perpetuarsi di una medesima scena, tecniche di rappresentazione grafica, strategie di movimento della macchina da presa. La curiosità degli studenti aumenta in funzione della creazione di nuovi contenuti autentici, significativi e saggi nella misura in cui raccontano di urgenze e bisogni reali e attuali.
Lo studente è quindi preparato a una nuova forma di relazione con i media e con i social network, rompendo quella invisibile barriera che lo circoscrive al suo ruolo di consumatore passivo, attraverso la sua nuova funzione di producer “capace di generare forme di utilizzo responsabile e sostenibile” (Marangi, Mauro, Valgolio, 2021).
Lo scopo degli studenti, entrati nella fase di produzione di un oggetto culturale, è proprio quella di costruire un artefatto audiovisivo autentico, che gli consenta di raccontare e, soprattutto, di mostrare la loro giornata-tipo in didattica a distanza. Attraverso i vari artefatti degli studenti è possibile comprendere qual è la sensazione sottesa alle loro attuali storie: la monotonia di una condizione di scarsità di esperienza e, soprattutto di interesse, perpetuata nei mesi.
Così TikTok, attraverso i suoi formati audiovisivi brevi, ospita la creatività dello studente che si incuriosisce davanti alle possibilità rappresentative del video e riacquista il proprio interesse mediante prodotti che raccontano il suo vissuto personale e autentico.
Dalla condivisione di questi oggetti culturali, che ritraggono una condizione relazionale ed emotiva inedita, scaturisce un momento di riflessione finale, che consente alla classe di ristrutturare la propria esperienza in ottica di rilancio: quali sono gli elementi che hanno pervaso la nostra quotidianità? Quali le emozioni che scaturiscono da questa condizione? Come combinare i privilegi del momento attuale con i benefici di una didattica in presenza?
Le dimensioni della media literacy education entrano, in conclusione, nel percorso di orientamento verso le necessità degli studenti, come capacità critica di analizzare le grammatiche interne e i linguaggi svelti che connotano l’universo social, come capacità estetica di realizzare prodotti audiovisivi immediati ed efficaci e come capacità etica di partecipare alla messa in opera di quello che Pierre Lévy (2002) definiva come “l’intellettuale collettivo”, l’archivio del sapere costruito da comunità virtuali all’interno del quale “ognuno sa qualcosa, la totalità del sapere risiede nell’umanità”.
Bibliografia per approfondire
Arcagni S., Visioni digitali. Video, web e nuove tecnologie, Torino, Piccola biblioteca Einaudi, 2016.
Farinacci E., Migliavacca M., Garbui M.C., (2021), CremitTikTok: come, perché e per chi. Cremit, https://www.cremit.it/cremittiktok-come-perche-e-per-chi/.
Lévy P., L’intelligenza collettiva, Milano, Feltrinelli, 2002.
Marangi M., Mauro I., Valgolio E., (2021), TikTok come risorsa educativa: una proposta. Cremit, https://www.cremit.it/tiktok-risorsa-educativa/.
McLuhan M., Il media è il massaggio, Milano, Feltrinelli, 1968.
Potter J., McDougall J., Digital Media, Culture and Education, theorising Third Space Literacies, Palgrave Macmillan UK, 2017.
Rivoltella P.C., Fare didattica con gli EAS. Episodi di Apprendimento Situati, Milano, Ed. La Scuola, 2013.